Riscoprire il senso del limite. Anche nella Chiesa

Don Fabio Corazzina celebra messa in tenuta da ciclista
Foto: Macabeo - YouTube

La settimana appena trascorsa è stata segnata da due fatti eloquenti per la nostra vita ecclesiale. Il primo solo apparentemente banale ed episodico, mentre il secondo rappresenta palesemente una sfida epocale.

Don Fabio Corazzina, sacerdote della diocesi di Brescia, già noto per le sue uscite stravaganti, ha celebrato messa in tenuta da ciclista, durante una trasferta a Mazara del Vallo, dove si trovava per un evento per la legalità e contro le mafie, promosso dalle ACLI. La scena era come minimo imbarazzante: un tavolo da picnic (senza tovaglia) come altare, croce tenuta su dalla frutta, piatti e bicchieri di plastica in luogo di patena e calice. Orazioni e prefatio improvvisati, niente salmo, né seconda lettura e omelia del celebrante sostituita dalla registrazione dell’omelia pronunciata da papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio 2013. Da notare che, essendo una domenica, la seconda lettura e l’omelia non erano opzionali. Verso la fine della funzione, poi, un colpo di vento ha fatto volare alcune ostie consacrate, lasciando scappare a don Corazzina una battuta infelice: “Sta volando Gesù… sta volando Gesù, ha preso il volo”. Di fronte a queste liturgie “creative”, per i motivi più disparati, i vescovi tendono normalmente a lasciar correre. Non così monsignor Pierantonio Tremolada, titolare della diocesi di Brescia, che, senza mezzi termini ha indirizzato una severa reprimenda al bizzarro sacerdote.

L’altro fatto, di risonanza decisamente più globale, è la grave decisione da parte dei vescovi fiamminghi di approvare una speciale benedizione liturgica per le coppie omosessuali. Il tutto in barba al Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede che, nel marzo 2021, aveva ribadito l’illiceità di questo tipo di benedizioni. I vescovi fiamminghi, a partire dal cardinale arcivescovo di Bruxelles-Malines, Josef De Kesel, pur non volendo con questo sdoganare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, hanno giustificato la loro innovazione sulla spinta delle coppie omosessuali che “chiedono durante gli incontri pastorali un momento di preghiera per chiedere a Dio che benedica e perpetui questo impegno di amore e fedeltà”. La delicatissima materia sarà ora affrontata assieme al Papa durante la visita ad limina dei vescovi, prevista tra qualche giorno.

Il caso di don Corazzina, nel giro qualche settimana, finirà verosimilmente nell’oblio e, in fin dei conti, coinvolge soltanto il diretto interessato e la sua coscienza. La fuga in avanti dei vescovi fiamminghi, al contrario, è un’azione destinata ad incidere sul futuro della Chiesa e sull’unità dei cattolici. Accostare i due fatti, tuttavia, non è peregrino, perché, in entrambi i casi, troviamo dei rappresentanti del clero, che in nome del potere conferito loro dal sacramento ministeriale, si assumono delle libertà e delle responsabilità molto pesanti.

Sappiamo bene che la correttezza liturgica non è un fine ma un mezzo per giungere alla comunione con il Signore. Proprio per questo, una ritualità che non esca dai canoni prestabiliti offre la garanzia di un migliore raccoglimento del fedele. Ci sono situazioni, modalità e linguaggi che, oggettivamente, non aiutano ad entrare nel mistero di Dio che si fa uomo e che si immola per la salvezza degli uomini. È semplicemente per questo motivo che stiamo dalla parte di monsignor Tremolada e prendiamo le distanze da quanto compiuto da don Corazzina, pur non giudicandone né le intenzioni, né la coscienza.

Quanto all’iniziativa dei vescovi fiamminghi, una domanda sorge spontanea: posto che, come da loro stessi ribadito, il matrimonio è soltanto tra uomo e donna e, soprattutto, che gli atti omosessuali sono considerati peccato grave da parte della Chiesa, per quale motivo, un’unione omosessuale sarebbe in sé degna di benedizione? Come abbiamo ricordato più volte su questo sito, la Chiesa è semper reformanda, tuttavia, trattandosi di una realtà al contempo terrena e sovrannaturale, essa ha bisogno di un determinato livello di certezze e – parola altamente scomoda – di regole in grado di sostenere il peso di un’istituzione così complessa e di non farla precipitare nel caos.

Lo stesso papa Francesco sottolinea spesso che la vita ecclesiale non trova fondamento esclusivamente nelle norme o nelle tradizioni e che, di fronte ai cambiamenti, non ha senso opporre l’obiezione irrazionale del “si è sempre fatto così”. Questa affermazione, tuttavia, non è in contraddizione con il fatto che, nella Chiesa come ovunque, sia necessario riscoprire il senso del limite. Come esseri umani, siamo limitati sia in quanto fallibili e peccatori, sia per la nostra natura bio-fisiologica: del resto, nessun uomo può volare, né correre alla velocità di 200 kmh… né due maschi umani (o due femmine), “accoppiandosi”, saranno mai in grado di riprodursi.

Paradossalmente, però, è proprio quel limite che ci dona la vera libertà. Se fossimo illimitati nelle nostre scelte, diventeremmo, al contrario, schiavi dei nostri desideri e della nostra avidità di emozioni e di esperienze. Dio – e con lui la Natura – ci permette di fare un numero di cose limitato ma non così ristretto al punto da rendere noiosa o triste la nostra vita. Come già avevamo osservato, ormai quattro anni orsono, in uno dei nostri primi editoriali, una vita caratterizzata da una possibilità di scelte potenzialmente infinita, alla fine della fiera, diventa un’esistenza nevrotica e frustrante: si pensi al vuoto esistenziale che c’è nella vita di tante persone ricche. Quando poi l’umanità pretende di allargare il suo ventaglio di scelte a obiettivi che non stanno né in cielo, né in terra, le complicazioni, i disagi e le delusioni, anziché diminuire, si moltiplicano. L’unica vera grande scelta che ognuno dovrebbe compiere nella propria vita è tra il Bene e il Male. Una scelta in cui ciascuno di noi, in qualunque momento può avvalersi di un Consigliere – nonché Padre! – che per noi vuole soltanto il meglio e che, in ogni caso, rispetta sempre la nostra libertà.