Chi salva una vita, salva il mondo intero: ebrei, cattolici e Olocausto
Durante la visita di domani pomeriggio alla basilica di Santa Sofia, in cui papa Francesco incontrerà la comunità ucraina di rito greco-cattolico di Roma, avrà luogo un momento dal forte valore simbolico, che si intreccia idealmente con l’odierna Giornata della Memoria. Ad accogliere il Santo Padre vi sarà, tra gli altri, una delegazione di persone che quest’anno hanno ricevuto le onorificenze del beato martire Emiliano Kovch (1884-1944).
Chi era quest’uomo? Vittima dell’olocausto nazista, Emiliano Kovch fu beatificato nel giugno 2001 da papa Giovanni Paolo II, assieme ad altri 26 martiri, vittime però dell’altra grande follia totalitaria del secolo scorso: il comunismo. Sacerdote dell’arcidiocesi maggiore di Leopoli, Kovch ebbe l’ironico destino di finire in carcere nel 1941 ad opera dei sovietici, per poi venire liberato un anno dopo da quelli che sarebbero i suoi carnefici. “Colpevole” di aver aiutato gli ebrei ucraini a fuggire dalla deportazione nei lager, padre Emiliano fu scoperto dai nazisti ed egli stesso imprigionato nel campo di concentramento di Majdanek, in Polonia, dove morì il 25 marzo 1944 (secondo alcune fonti per una trombosi alle vene della gamba destra, secondo altri bruciato vivo). Nel 1999, Kovch fu proclamato “Giusto dell’Ucraina” dal Consiglio Ebraico del suo paese.
La vicenda del beato Emiliano Kovch, analoga per alcuni aspetti a quella più nota di San Massimiliano Kolbe (1884-1941) è emblematica di un momento assai particolare e drammatico della storia ebrea e cristiana, quando esponenti di entrambe le religioni condivisero il tragico destino della persecuzione nazista. È proprio nell’inferno della Shoah, che vengono gettati i semi di un dialogo interreligioso che, in duemila anni, non aveva avuto precedenti. Un ‘disgelo’ tra due religioni precedentemente nemiche, che troverà compimento e sviluppo nei decenni successivi, dalle istanze programmatiche del Concilio Vaticano II, fino alla storica visita di San Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nel 1986.
Non più “perfidi giudei”, dunque, ma “fratelli maggiori” da soccorrere e sottrarre alle grinfie di un nemico comune. Sono numerosi – e sicuramente la gran parte dei loro nomi rimarrà occultato nei meandri della storia – i cattolici che, nella tragedia dell’Olocausto, hanno dato compimento al precetto del Talmud, per il quale “Chi salva una vita, salva il mondo intero”. A partire dal venerabile papa Pio XII, i cui controversi “silenzi” di fronte alla barbarie nazista, altro non furono che una forma di circospezione, per permettere la salvezza di migliaia di ebrei, nascosti in parrocchie e conventi sparsi per tutta Roma.