Sinodo: una risposta alla crisi. Ma sarà quella giusta?

Sinodo 2021-2023
Photo: Diocesi di Pavia - YouTube

È sempre difficile parlare in modo non banale di un evento come un Sinodo dei Vescovi. Sia perché, i temi e l’organizzazione che lo riguardano sono molto articolati, sia perché in esso si rispecchiano molte delle aspettative della Chiesa e nei confronti della Chiesa stessa. Aspettative che, inevitabilmente, non sono mai univoche e che, se messe a confronto, possono generare tensione e sofferenza. Possiamo dire, di primo acchito, che – in questo Sinodo, così come nei precedenti – ci sono stati un Sinodo portato avanti dagli uomini e un Sinodo, secondo la volontà di Dio. Anche in questo caso, non necessariamente i due Sinodi coincidono.

Riguardo all’assemblea sinodale conclusa una settimana fa, sul tema Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione, si è molto parlato, spesso anche in negativo, enfatizzando anche sull’approccio più sociologico che non ecclesiale di certi padri sinodali. La relazione di sintesi dell’ultima assemblea sinodale esprime in primo luogo la coscienza della “pluralità delle posizioni” in cui “è risuonata l’esperienza di una Chiesa che sta imparando lo stile della sinodalità e cercando le forme più idonee a realizzarla”. Inoltre, dopo quasi 60 anni, ancora non si è trovata la via maestra nell’attualizzazione dei principi del Concilio Vaticano II, un “seme gettato nel campo del mondo e della Chiesa”, alla cui energia il Sinodo continua ad attingere, prolungandone l’ispirazione e rilanciandone per il mondo di oggi la “forza profetica”.

Ci sono elementi che avvicinano il popolo di Dio a un’idea di Chiesa sinodale, altri che suscitano diffidenza. Tra i primi si riscontra il “desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale”. Non tutto, però, è così semplice e lineare: “Tra i timori – scrivono i padri sinodali – vi è quello che l’insegnamento della Chiesa venga cambiato, allontanandoci dalla fede apostolica dei nostri padri e tradendo le attese di coloro che anche oggi hanno fame e sete di Dio. Tuttavia – si legge nel documento finale – siamo convinti che la sinodalità è una espressione del dinamismo della Tradizione vivente”.

Tra le questioni aperte: i sacramenti dell’iniziazione cristiana, di cui va rivalutata la funzione di rafforzamento comunitario; i poveri, che vanno messi “al centro di tutti gli aspetti della vita”, perché “attraverso le loro sofferenze hanno una conoscenza diretta del Cristo sofferente”; l’ecumenismo, nell’ottica “rinnovamento spirituale” che “esige anche processi di pentimento e di guarigione della memoria”; le donne che “costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime missionarie della fede in famiglia”; la “cultura digitale”, che non rappresenta “un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura contemporanea”.

In sintesi, si può dire che l’ultimo Sinodo racchiude in sé molti degli spunti già espressi dai Sinodi del decennio scorso, in modo particolare quello sulla nuova evangelizzazione (2012), quello sulla famiglia (2014-2025) e quello sui giovani (2018). La Chiesa osserva la modernità, vi prega sopra e risponde con proposte pastorali: così ha iniziato con il Concilio, di cui i Sinodi sono prosecuzioni e attuazioni. È un processo che avviene periodicamente, in ragione del fatto che la Chiesa non è più egemone nella società, anzi, più spesso è messa in minoranza, quindi, si pone a rimorchio della modernità, talora cavalcandola, talora criticandola. Non essendo più generatrice di cultura – né tantomeno di cultura dominante – la Chiesa si vede a volte costretta ad imitare il mondo, fino a mimetizzarsi con esso. Con il risultato che i cattolici sono troppo annacquati e omologati o, al contrario, sono portatori di una spiritualità apparentemente convincente ma, in fin dei conti, troppo autoreferenziale.

Un input che spariglia le carte in tavola e indica una chiave di volta è quello di papa Francesco, che vede nel Sinodo una “conversazione dello Spirito”, individuando i due verbi chiave nell’“adorare” e nel “servire”, quali fondamenti dell’amore evangelico di cui il Sinodo dovrebbe essere veicolo. Il rischio più grande del Sinodo rimane però quello di limitarsi a una pura funzione pedagogica, di sottomettere il pensiero alla prassi, la preghiera alla ragione. Il Sinodo è una risposta alla crisi ecclesiale. Una risposta forse espressa in buona fede, ma non è detto che, al momento dell’attuazione, si tratti di una risposta ispirata allo Spirito Santo. In altre parole, sulla tanto decantata “profezia” rischia di esserci un po’ troppa retorica.