Un cristiano deve sempre dire quello che pensa?

Un cristiano deve sempre dire quello che pensa?

Il termine parresia, molto ricorrente nel linguaggio della Chiesa, è tornato in auge durante il pontificato di papa Francesco, in modo particolare in occasione degli ultimi due Sinodi sulla famiglia. Questa espressione greca (παρρησία) è un composto di pan (“tutto”) e rhema (“ciò che viene detto”) e, in senso lato, ma anche ecclesiologico, indica la libertà di parlare ed ascoltarsi con franchezza e senza pregiudizi.

Non siamo di fronte ad un concetto scontato, vivendo noi in un mainstream culturale che, da un lato difficilmente accetta l’esistenza di una Verità che ci trascende, dall’altro tende ad incoraggiare lo scontro, spesso brutale e verboso, tra le tante verità soggettive, facendo vincere chi sa esprimersi in modo più brillante e suasivo, a scapito dell’oggettività imparziale.
Sorge allora un interrogativo più che mai legittimo: il rispetto dell’ottavo comandamento, dovrebbe indurre i cristiani a dire la verità sempre, finanche a costo di risultare infantili e imbarazzanti?

Se è vero che, da un lato, se non torniamo bambini non conquisteremo il Regno dei Cieli (cfr Mt 18,3), dall’altro, la nostra sete di Verità non potrà mai essere piegata ai nostri capricci. C’è anche chi si esprime con schiettezza (e lo rimarca, quasi rinfacciandolo…) ma, spesso e volentieri, lo fa, perché ha un interesse più o meno grande a mettere in difficoltà il suo interlocutore. Ben altro spessore era quello dei nostri martiri, specie nel cristianesimo primigenio, quando gridavano la Verità in chiave profetica, per il bene del mondo, mettendo a repentaglio la propria incolumità. Il primo e più emblematico esempio è quello di San Giovanni Battista che ricorda ad Erode una sacra ovvietà: l’adulterio è un peccato grave (cfr Mt 14,4; Mc 6,18).

Giovanni paga il prezzo della sua stessa vita, perché ribadendo un semplice principio di fede e di morale, ha infastidito un potente della sua epoca, relativista, corrotto e prevaricatore, né più, né meno come i potenti attuali.
Gesù Cristo stesso, paga anch’egli il prezzo della sua stessa vita e in modo più impressionante e ignominioso degli altri, perché egli stesso è la Verità personificata: quando Pilato gli domanda cosa sia effettivamente questa Verità, Gesù, già agonizzante tace (cfr Gv 18,38), perché la sua condizione di Verità incarnata e ferita è ben più eloquente di qualsiasi parola.