Violenza sulle donne: troppe intollerabili ipocrisie

Violenza sulle donne
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“La morte di Michelle ci pone delle domande come Chiesa e come società civile. Dove stiamo andando? Siamo coscienti o no che la nostra è una crisi di civiltà? Cosa stiamo offrendo ai nostri giovani? Ce la sentiamo ancora di dire che stiamo costruendo un futuro per loro, oppure siamo diventati tutti complici di progetti di morte? Sono domande forti. Lo so. Ma sono domande che, penso, tutti portiamo dentro e che ci invitano a un attento esame di coscienza”. Sono le parole pronunciate due giorni fa da monsignor Baldo Reina, vescovo ausiliare di Roma, durante i funerali della 17enne Michelle Caruso, uccisa da un coetaneo per futili motivi nel quartiere di Primavalle. “Il degrado non è in un quartiere o in una periferia. Il degrado è nel cuore di ognuno di noi – ha detto il presule –. Il degrado è nella cultura che respiriamo, nella mentalità che tutti contribuiamo a creare, nel deserto dell’anima, immolando sull’altare dell’egoismo umano vittime sacrificali”.

Si potrebbero spendere fiumi d’inchiostro sull’ennesimo fatto di cronaca. Ci soffermeremo su un paio d’aspetti degni di nota. In primo luogo, tra i giovani la violenza è sempre più dilagante, così come è sempre più diffusa la violenza sulle donne. La violenza sulle persone cresce, nella misura in cui, l’essere umano è considerato alla stregua di un oggetto: lo si tratta coi guanti di velluto finché ci serve e ci è utile, poi, si può rottamarlo senza troppi complimenti.

Quando poi l’essere umano in questione è donna, la violenza che si scatena contro di lei, è ancor più cieca e brutale. Il motivo è molto semplice: ancor più degli uomini, le donne sono considerate oggetti. Non è noto se il delitto di Primavalle sia stato a sfondo passionale: si parla, infatti, di una questione di soldi. Di certo lo è stato, per molti versi, quello di Senago, dove il presunto assassino non ha avuto pietà né della sua compagna, né del bimbo che stava per nascere.

Emerge un’ipocrisia intollerabile quasi tutte le volte che si condanna la violenza sulle donne. Le contraddizioni sono troppe: in primo luogo, le pene contro gli uomini violenti non sono mai esemplari, tutt’altro. Ciononostante, taluni tendono troppo a generalizzare e stigmatizzare il maschio come violento per definizione (alimentando, così, gli attriti tra i sessi). L’aspetto più sconcertante, tuttavia, è un altro: si sottovaluta tantissimo la nemesi cui è andata incontro l’evoluzione dell’emancipazione femminile. Nell’ultimo cinquantennio abbonante, la donna ha potuto guadagnare un’ampia gamma di libertà (a partire dal lavoro) che fino a pochi anni prima erano immaginabili. Ciò è avvenuto, tuttavia, a un prezzo troppo alto: quella libertà non ha sempre fatto rima con dignità. Si è, cioè, troppo enfatizzata l’emancipazione sessuale femminile, con il relativo svincolamento dell’erotismo dalla dimensione affettiva, coniugale, familiare e materna. Risultato: mai quanto nel cinquantennio dell’emancipazione, è cresciuta a dismisura la fruizione della pornografia e la banalizzazione volgarizzante del corpo e della bellezza femminili.

Indubbiamente la diffusione capillare della pornografia e di quei fenomeni di cripto-prostituzione d’alto bordo come Onlyfans e altre piattaforme online ha giocato un ruolo non di secondo piano nell’incentivare gli istinti maschili più bassi. Questo fattore non è certamente l’unico – si pensi al ricorso collettivo sempre più massiccio alle nuove droghe e agli antidepressivi in tutte le salse – ma è il risvolto che viene più scandalosamente trascurato.

La violenza sulle donne non si combatte varando leggi controproducenti come quelle sul femmicidio. Sarebbe sufficiente applicare le pene già previste ma, come si è accennato, per motivi inspiegabili, i magistrati – che spesso si piccano di aver una mentalità al passo coi tempi – sono solitamente molto indulgenti con gli uomini balordi e misogini. Spesso si è parlato (a vanvera) della dignità del corpo delle donne ma, tra i benpensanti moderni, quasi nessuno ha mai riflettuto su quanto possano essere controproducenti i modelli antropologici che quel corpo lo banalizzano e lo umiliano. Si possono pensare a mille modi per contrastare la violenza sulle donne; eppure, quasi nessuno ha mai pensato a quella che sarebbe la via più efficace: riflettere sull’essenza della femminilità, su ciò che la rende più diversa dall’uomo, sulla sua sensibilità e sulla sua dignità più profonda. Ma questi, forse, sono argomenti troppo poco politically correct