Una vita può essere speciale per tanti motivi. Ci sono vite speciali per la loro longevità, altre lo sono per l’eccezionalità degli eventi che attraversano. Altre vite sono rese speciali dalla genialità fuori dal comune delle persone. Wanda Poltawska, venuta a mancare mercoledì scorso a 102 anni quasi compiuti, è stata tutto questo ma anche molto altro. E’ divenuta famosa, pur non avendo mai cercato la visibilità nemmeno per un’istante ma, soprattutto, ha avuto la grazia di incrociare personalità ancor più eccezionali dalla sua, che hanno fatto risaltare in modo più nitido tutto il grande valore di questa donna.
La sua amicizia con Karol Wojtyla è qualcosa di piuttosto raro nella storia della Chiesa ma decisamente non unico: si pensi a San Francesco e Santa Chiara o a Santa Teresa d’Ávila e San Giovanni della Croce. Amicizie così pure tra uomini e donne, tra santi e sante, sono un segno profondo della comunione in Cristo, che trascende ogni legame convenzionale. Così fu anche tra Poltawksa e Wojtyla: un legame ancor più straordinario, in quanto coinvolge una laica (sposa e madre di famiglia) e un sacerdote (in seguito anche vescovo e, infine, Papa). Wojtyla era diventato confessore di Poltawska, quando quest’ultima era studentessa in medicina all’Università Jagellonica di Cracovia e il futuro pontefice era cappellano della stessa facoltà. Tra i due scattarono subito notevoli affinità elettive ma, a questo punto, si rende necessario un flash back.
Nel 1941, all’età di 20 anni, Poltawska fu arrestata dai nazisti e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück, dove fu marchiata con il numero 7709. La giovane polacca non era ebrea ma una semplice dissidente di fede cattolica, comunque degna, nell’ottica dei nazisti di patire le pene dell’inferno di un lager. In quel tragico frangente, Poltawska scampò ai forni crematori e dal campo di sterminio uscì viva ma non le fu risparmiata la crudeltà delle sperimentazioni su gli esseri umani, perpetrate dai gerarchi ai danni dei prigionieri. Dopo aver visto i nazisti gettare neonati nei forni crematori, Poltawska si ripromise, se fosse sopravvissuta, di iscriversi a medicina con l’obiettivo di “difendere la vita”. La permanenza nel lager fece tardare l’iscrizione di Poltawska all’Università Jagellonica, che si laureò a trent’anni nel 1951, conseguendo il dottorato in psichiatria nel 1964.
Si intuisce che, anche grazie alle impegnative conversazioni con Poltawska, Wojtyla affinò la propria sensibilità sui temi del corpo umano e della sua sacralità, tenendo a battesimo il primo vero magistero cattolico in campo bioetico e producendo quella pietra miliare che è l’enciclica Evangelium vitae. Nel suo studio venivano anche coppie in crisi, cosicché la dottoressa Poltawska si rese conto di aver bisogno di un sacerdote: “Don Wojtyła si occupava di questo tipo di pastorale e così ha cominciato ad aiutarmi”, rivelò lei stessa in un’intervista all’Osservatore Romano nel 2012.
Nel 1962, Poltawska vive il secondo grande dramma della sua vita: il cancro. Dopo la diagnosi della malattia fu monsignor Wojtyla, nel frattempo diventato vescovo ausiliare di Cracovia, a prendersi cura della sua figlia spirituale e lo fece in maniera del tutto particolare. Quattordici anni prima, durante i suoi studi di teologia a Roma, il giovane sacerdote polacco si era recato a San Giovanni Rotondo per conoscere un frate cappuccino, considerato particolarmente carismatico e anche mistico: il suo nome era padre Pio da Pieltrecina. Ricordandosi di quell’incontro indimenticabile, l’arcivescovo scrisse al frate pugliese, rivolgendogli la seguente richiesta: “Venerabile Padre, Ti prego di rivolgere una preghiera per una madre di quattro figlie, di quarant’anni, di Cracovia in Polonia, (durante l’ultima guerra in campo di concentramento in Germania), ora in pericolo gravissimo di salute e della vita stessa per un cancro: affinché Dio per intercessione della Beatissima Vergine mostri la sua misericordia a lei e alla sua famiglia in Cristo obbligatissimo + Carolus Wojtyla vescovo titolare di Ombi vicario capitolare di Cracovia”. Ricevuta la lettera, padre Pio profetizzò correttamente: la signora sarebbe guarita e, anni dopo, avrebbe lavorato per la Santa Sede.
La mattina stessa in cui le era stato programmato l’intervento chirurgico (con probabilità di successo date appena al 5%), Poltawska si risvegliò senza più alcun dolore. Le rituali radiografie pre-operatorie rilevarono la totale – e scientificamente inspiegabile – sparizione del tumore. Quando poi, cinque anni dopo, la psichiatra cracoviana si recò in Italia, volle recarsi anche a San Giovanni Rotondo, per conoscere il frate che aveva chiesto l’intercessione per quella guarigione rivelatasi miracolosa. Prima ancora che Poltawska si presentasse, padre Pio comprese che si trattava proprio della donna che, grazie a lui, era guarita. Postale la mano sul capo, le domandò semplicemente: “Adesso va bene?”.
Sempre negli anni ’60, Poltawska fondò l’Istituto Teologico di Cracovia, sempre con la benedizione e l’aiuto concreto del vescovo Wojtyla. Quando nel 1978 questi divenne Papa, la psichiatra gli scrisse: “Sei stata per me il mio esperto personale nel campo di Humanae Vitae. È stato così per più di vent’anni e questo bisogna continuare a mantenerlo”. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II, Poltawska ricoprì vari incarichi in Vaticano: nel 1983, fu nominata membro del Pontificio Consiglio della Famiglia, poi, nel 1994, membro della Pontificia Accademia per la Vita e, infine, consultore del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari.
Nel 2020, in occasione del primo centenario della nascita di Giovanni Paolo II, Polstawska scrisse sull’Osservatore Romano: “Se si vuole ora davvero onorare il centenario della sua nascita e la sua memoria, io vedo solo un modo: convertire le persone affinché capiscano che ogni bambino e ogni persona hanno il diritto alla vita. L’unico Signore della vita è il Creatore che ama il suo creato. Sono sicura che una legge internazionale che vieti di uccidere i bambini non nati potrebbe essere un ‘regalo’ dell’umanità per questo grande uomo”. Wanda Poltawska ha reso sempre testimonianza contro l’aborto, anche quando, in Polonia, si è tentato di legalizzarlo. Nel 2020, nell’anniversario di Wojtyla, scrive: “Se si vuole ora davvero onorare il centenario della sua nascita e la sua memoria, io vedo solo un modo: convertire le persone affinché capiscano che ogni bambino e ogni persona hanno il diritto alla vita. L’unico Signore della vita è il Creatore che ama il suo creato. Sono sicura che una legge internazionale che vieti di uccidere i bambini non nati potrebbe essere un ‘regalo’ dell’umanità per questo grande uomo”.
Sulla vita di Wanda Poltawska si potrebbe raccontare ancora molto altro. Una donna che, di certo, non amava apparire, salita alla ribalta della storia, lungo i sentieri stretti e non facili di un destino, rivelatosi alla fine benigno e misericordioso. Una vita trascorsa nient’altro che per cose grandi, quelle che riescono soltanto alle anime umili, sorrette dallo Spirito Santo e prese per mano dai santi che popolano la terra e il Cielo.