Mamma Michela non ha avuto un percorso facile, ha avuto due aborti spontanei che le hanno causato la sterilità, poi la decisione di adottare due bimbi speciali.
Michela non ha dubbi: «Sostenere la Croce non è un premio di consolazione, ma fa fiorire ogni cosa che ti è data».
Michela e Nicola sono una coppia di sposi che hanno da sempre desiderato una famiglia e dei figli, il loro percorso è stato segnato da tanto dolore, due aborti spontanei, la sterilità di Michela e poi questo dolore si è abbracciato con un altro dolore che loro, hanno voluto accogliere, decidendo di adottare due bimbi speciali, abbandonati in ospedale alla nascita solo perchè hanno la sindrome di down, loro sono Anna e Marcello.
Michela è stata intervistata dalla redazione di Aleteia (Intervista originale) ed ecco ciò che racconta in merito all’adozione di Marcello e Anna.
“Io e Nicola ci siamo conosciuti all’università e ci siamo sposati a 25 anni. Entrambi proveniamo da famiglie numerose e avevamo l’idea di avere tanti figli. Li desideravo così tanto che dopo il matrimonio non mi sono neppure messa a studiare i metodi naturali, perché ho sempre pensato che prima fossero arrivati i figli meglio era. Sono rimasta incinta quasi subito e altrettanto presto ho perso il bambino. In seguito sono rimasta incinta nuovamente, la gravidanza è andata avanti, ma si è interrotta alla 15 settimana. Questo secondo aborto spontaneo è stato emotivamente ancora più doloroso, perché è un figlio che va comunque partorito.
Tutto è partito dal mio lavoro. Sono fisioterapista e la mia prima esperienza lavorativa è avvenuta in un’associazione fondata da genitori con figli affetti dalla sindrome di Down: in particolare io mi occupavo di bimbi da 0 a 3 anni. Non conoscevo questa realtà e mi sono innamorata di questo lavoro, della possibilità di stare in rapporto con queste famiglie. Poi un giorno, parlando in macchina con un’amica, che fa parte del gruppo “Famiglie per l’accoglienza”, vengo a sapere che un bambino Down era stato abbandonato in ospedale ed era in attesa di essere adottato. Appena arrivata a casa ne ho parlato a mio marito Nicola e lui, di slancio, ha detto: “Adottiamolo noi”.
Il nostro desiderio di essere papà e mamma si univa al pensiero di quel bimbo lasciato solo in ospedale. Ci proponemmo, ma poi quel bambino andò in adozione a un’altra famiglia. La nostra disponibilità è rimasta aperta finché è arrivata l’occasione di adottare Marcello.
Anche questo percorso è stato travagliato. Lui doveva arrivare a casa nostra a giugno, ma, avendo una grave cardiopatia oltre alla sindrome di Down, ebbe una crisi seria e fu operato. Non lo incontrammo e i medici ci dissero che non si sapeva se ce l’avrebbe fatta a superare l’intervento. Abbiamo dovuto aspettare fino a fine luglio, in tutto questo tempo lui ha fatto la degenza in ospedale da solo. Ma poi la situazione è migliorata e finalmente lo abbiamo portato a casa.
No, noi avevamo pensato a un altro nome. I bambini che vengono abbandonati alla nascita ricevono il nome dal primo addetto che si occupa di loro. Quando abbiamo saputo dal ginecologo che lo aveva chiamato Marcello, ci è piaciuto così tanto che non l’abbiamo più cambiato.
Nel caso di neonati con la sindrome di Down possiamo supporre che siano casi sfuggiti agli esami diagnostici (e perciò sfuggiti anche ad aborti conseguenti); nascono e vengono lasciati alle cure dell’ospedale.
Quanto a lui, Marcello è arrivato da noi in un momento per nulla casuale: dopo poco che era a casa nostra ho avuto la notizia che non avrei più potuto avere figli naturalmente perché il mio secondo aborto spontaneo mi aveva procurato un’infezione e la chiusura delle tube. La sua presenza ha addolcito la ferita, era segno che c’era un disegno di bene dentro la nostra storia.
Anna è arrivata in modo rocambolesco, e poi lei stessa si è dimostrata essere un vulcano. Ad un certo punto ci trasferimmo da Verona a Udine e io fui assunta come fisioterapista in ospedale; un giorno mi avvicinò una dottoressa che, conoscendo la mia storia, mi comunicò che una bimba Down era stata abbandonata in ospedale; chiedeva consigli a me su come muoversi. Lo stesso giorno, rientrando a casa, trovai un messaggio nella segreteria telefonica di un’assistente sociale che, a sua volta, avendo avuto notizia della nostra famiglia, mi chiedeva consigli riguardo al caso della stessa bambina. Due giorni dopo abbiamo deciso di adottarla noi.
Anna aveva un mese quando è arrivata a casa nostra, a differenza di Marcello è vivacissima. È diventata una bravissima nuotatrice e ha una grande passione per il disegno; Marcello la tollera ed è guardingo verso la sua esuberanza, ma li unisce molto l’amore per la musica. Ora frequenta il primo anno dell’Istituto agrario.
Rita Sberna