Quando si parla di radici cristiane dell’Europa, non andrebbero affatto trascurati i canti natalizi. Molti di essi, divenuti popolari a poco a poco, nel corso dei secoli, si caratterizzano per l’abbondanza di traduzioni nelle varie lingue. Al di là degli idiomi, il Natale conquista i cuori grazie ad un linguaggio unico, che non conosce confini. In nessun’altra cultura religiosa, esiste una festa in cui buio e luce, gelo e calore, si giustappongono e, alla fine, lo sfondo invernale viene sovrastato dai suoni e dai segni visivi dell’Avvenimento per eccellenza.
Se ci approcciassimo all’immagine del presepe e, contestualmente, ai racconti evangelici della Natività, presenti in Matteo (1,18-25) e Luca (2,1-20), senza lo sguardo della fede, la vicenda della Sacra Famiglia, ci apparirebbe come una bella favola a lieto fine: un Bambino viene partorito nella totale emergenza, tra freddo, povertà, mancanza di cibo e ospitalità negata. Poco dopo, il dramma si scioglie nella solidarietà gioiosa di tanta gente di popolo sconosciuta, pastori in primis, che vengono a visitare il neonato e i suoi genitori, seguiti da tre strani personaggi giunti dall’Oriente, bizzarramente abbigliati, con i loro preziosi doni, a ripagare le sofferenze di una piccola vita, venuta al mondo nell’emarginazione e abbandono più totali.
La risposta emotiva di fronte all’avvenimento della Natività, anche per un non credente, sarebbe probabilmente di stupore e consolazione. Per chi ha fede nella natura divina di quel Bambino, la meraviglia è ancor più grande, perché è rivelativa di quelle “sorprese di Dio” di cui parla spesso papa Francesco. La più grande di queste sorprese, comunque – ci sia consentito dirlo – è proprio il modo in cui Dio sceglie di incarnarsi e venire al mondo. È anche per questo che, da sempre, la Natività non si limita a ispirare preghiere o novene ma anche numerosi splendidi canti. Canti che sono essi stessi preghiere rafforzate: non a caso, Sant’Agostino affermava che “chi canta prega due volte”. Il Creatore che rivela il suo volto, ha quindi risvegliato la creatività degli uomini, attraverso le arti figurative, le rappresentazioni presepiali (a partire da quella di San Francesco a Greccio, nel 1223) e, per l’appunto, la musica.
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) è il santo che più di tutti ha speso la sua creatività per il Natale. Quanno nascette Ninno è una lunga ballata, ricca di dettagli, tra luoghi fisici e stati d’animo, dove è latente il forte senso del peccato del santo vescovo napoletano. Ciò che più colpisce nel testo liguoriano sono però il senso della luce (“Quanno nascette Ninno a Bettlemme / Era nott’e pareva miezo juorno. / Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí: / E a cchiù lucente / Jett’a chiammà li Magge all’Uriente”) e del risveglio della creazione (“De pressa se scetajeno l’aucielle / Cantanno de na forma tutta nova: / Pe ‘nsí agrille – co li strille,/ E zombanno a ccà e a llà; / È nato, è nato, / Decevano, lo Dio, che nc’à criato”) che sembra dare il benvenuto al Messia appena nato. Nella più nota Tu scendi dalle stelle è ancora più marcato lo struggimento dell’autore per quell’Amore così gratuito, che patisce in anticipo le pene della Croce.
Stille Nacht è probabilmente il canto più universalmente tradotto, al punto da essere stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2011. Il canto fu composto nel 1818 a Salisburgo da Franz Xaver Gruber, che musicò i versi del sacerdote Jospeh Mohr, composti due anni prima. Nel testo originale, non c’è l’inquietudine latina e il senso del movimento propri delle composizioni di Sant’Alfonso, ma trovano spazio la pace interiore e la contemplazione, secondo uno spirito mitteleuropeo. Il divino Infante non è alle prese con il freddo o con la fame ma “dorme nella pace celestiale”, tra i raggi che ne illuminano il “sacro volto”. Mentre la traduzione inglese Silent Night presenta un testo molto simile all’originale tedesco, la versione italiana Astro del ciel, realizzata nel 1937 dal sacerdote bergamasco don Angelo Meli, ha un approccio più retorico (“pargol divin”, “virgineo mistico fior”) e, per certi versi, teologico.
Curiosa è la genesi di Adeste fideles, testo latino ricavato da un tema popolare irlandese, che il britannico sir John Francis Wade compose a metà del XVIII secolo ad uso di una comunità cattolica, fuggita in Francia dalle persecuzioni anglicane. Questo canto trasmette il senso della coralità, della folla che diventa comunità e si incammina compatta verso il Bambino Redentore, fonte di gioia inscalfibile. Forse anche per le circostanze in cui fu realizzato, Adeste fideles è uno dei canti natalizi più ecumenici e viene spesso eseguito anche nelle liturgie protestanti. È anche il canto più ripreso dagli artisti pop: da Enya a Ritchie Blackmore, da Giuni Russo a Laura Pausini.
Avrebbe origini francesi la composizione Notte placida, attribuita al clavicembalista François Couperin (1668-1733), scelto come organista della Cappella di Corte dal “re Sole” Luigi XIV. Di questo canto, tuttavia, generalmente non si trova traccia nelle biografie del musicista, pertanto potrebbe trattarsi di un canto pastorale tradizionale.
Il più illustre tra i compositori natalizi è probabilmente Georg Friedrich Händel (1685-1759): la sua Gioia nel mondo canta la lode della creazione intera al Salvatore e si adatta perfettamente all’esecuzione da parte di cori polifonici.
Nel concludere questa breve rassegna sui canti natalizi, vogliamo citare What Child is This?, composta nel 1865 da William Chatterton Dix (1837-1898). Rimasto allettato per mesi intorno ai 28 anni, a causa di una malattia invalidante, Dix, che era dirigente di una compagnia assicurativa marittima scozzese, trovò conforto nella preghiera e ‘rinacque’ come autore di canti sacri. La sua più nota composizione natalizia trae spunto dalle note della celeberrima Greensleeves, e descrive lo stupore dei Re Magi alla vista del Bambino cullato dalla Madre, nei tripudio dei pastori che lo omaggiano e degli angeli che cantano.