Emanuela Tittocchia, è attrice e conduttrice televisiva. E’ stata inviata nel 2005/2006, nella nota trasmissione “Vojager”.
Ha recitato in alcune soap opere, come “Un posto al sole” e attualmente in “Cento Vetrine”.
L’abbiamo vista anche nel cast della fiction “Non smettere di sognare – 2”.
Nella sua vita accade un evento che la stravolge fisicamente, mentalmente ma soprattutto nell’anima.
Nel 2010, ha rischiato di morire per un intervento chirurgico.
Raccontaci cos’è accaduto esattamente?
Praticamente quando io ero piccola, all’età di 19 anni, avevo un problema con il cibo e sono diventata molto magra, non mangiavo più, ed erano sparite tutte le forme. Ero anche contenta che non ci fosse più niente.
Poi crescendo, volevo riavere il seno come da ragazza. Quindi ritornare alle mie forme fisiche, perché vedermi magra, mi faceva ricordare all’eccessiva magrezza che da ragazza avevo raggiunto e mi faceva un po’ paura.
Così dopo vari anni, ho deciso di sottopormi ad un intervento di mastoplastica additiva, quindi un intervento al seno.
A fare questo intervento, sono andata da un chirurgo molto rinomato a Roma. Ho fatto l’intervento e poi sono tornata a casa un giorno dopo, di quello che era previsto.
Ho iniziato a perdere moltissimo sangue, avevo ematomi su tutto il corpo. Sono andata dal chirurgo a visita di controllo, e lui mi aveva detto che era tutto apposto.
Invece dopo 4 giorni, stavo malissimo. Avevo la febbre alta, la nausea e non stavo in piedi.
Mio cugino fa il medico a Torino, mi conosce da quando sono nata. Dai sintomi che gli elencavo, ha capito che c’era un infezione in corso, e mi ha detto di correre subito in ospedale.
Sono andata in ospedale, avevo un emorragia interna. Ho rischiato tantissimo perché il valore dell’emoglobina era molto bassa.
Mi hanno fatto delle trasfusioni di sangue di urgenza e mi hanno ricoverato all’ospedale San Carlo di Roma.
I medici, dopo averti fatto delle trasfusioni di sangue, dovevano operarti ancora una volta perché il flusso di sangue non si fermava.
A quel punto come hai appreso la notizia?
Nonostante le trasfusioni, il valore dell’emoglobina non si rialzava. Quindi i medici a quel punto, avevano detto che l’unico modo era quello di rifare un intervento, andare a riaprire e chiudere i punti dove usciva ancora il sangue.
Io avevo la febbre, la nausea, stavo male. Fare un intervento in quelle condizioni era devastante, ma era l’unico modo.
Ero preoccupatissima, mia madre era disperata.
Invece l’intervento grazie a Dio, non c’è più stato.
All’ospedale arriva la visita della tua amica Debora. La tua amica ti porta l’immagine di una santina che raffigura Gesù Misericordioso. Il ritratto del quadro descritto da Suor Faustina Kowalska.
A quel punto, ti metti a pregare?
Io ho sempre pregato. Sono stata sempre molto legata a Sant’Antonio di Padova.
E’ stato proprio nella Basilica del Santo a Padova, che ho sentito per la prima volta un calore, un amore che ti stravolge.
Sono andata a conoscere i frati di Padova, il mio direttore spirituale è un francescano. E’ stato tutto un percorso.
Quel pomeriggio, la mia amica Debora mi ha portato l’immagine di Gesù della Divina Misericordia.
A Roma, c’è la chiesa di Santo Spirito in Sassia, dove ci sono le reliquie di Suor Faustina.
Quindi, ho iniziato a pregare molto Gesù della Divina Misericordia.
La notte stessa, cioè la notte prima dell’intervento, ho pregato tantissimo quella notte.
Quella stessa notte è successo qualcosa di straordinario. Mi sono svegliata ed ho sentito come un risucchio, come un vento che mi portava via qualcosa di brutto e mi sono sentita di colpo, benissimo.
Ero completamente guarita. Mi sono alzata da sola dal letto, ho aperto la finestra ed ho respirato. Prima quando ero in ospedale ricoverata, facevo chiudere sempre la finestra perché mi dava fastidio che entrasse l’aria. Invece, quella notte ho respirato.
Poi ho chiamato l’infermiera, mi ha misurato la febbre e non c’era più.
La mattina dopo, hanno visto che non c’era più la febbre e il valore dell’emoglobina si era ristabilito e così dopo qualche giorno mi hanno dimessa.
Io ringrazio e ringrazierò per tutta la vita, i ragazzi che lavorano all’ospedale di San Carlo, anche gli ausiliari e gli infermieri, che passano la notte a tenerti compagnia e a curarti.
Per me sono degli angeli. Si parla spesso di malasanità che purtroppo c’è. Però si parla troppo poco del bello e del bene che c’è negli ospedali. Per me queste persone che lavorano negli ospedali, meritano tutto il bene del mondo.
Com’era la tua fede prima di allora?
Era diversa. Io ho sempre creduto, ho sempre praticato molto dai frati, perché come ho detto prima, sono molto legata a Sant’Antonio.
Adesso, sperimentando questo, tutto assume un altro significato.
E’ molto difficile stare nel mio ambiente, perché io parlo una lingua che molti non comprendono e quindi molte volte mi sento isolata.
Ci sono tantissime forme di classismo, di razzismo e di discriminazione.
Si parla sempre di discriminazione verso i diversi. Chi crede e chi pratica i sacramenti, oggi è considerato un diverso.
Ho imparato col tempo a farmi ferire di meno, soprattutto quando sento un certo tipo di discorsi che mi fanno stare male, perché vorrei che tutti credessero in Dio.
Però mi accorgo che a volte, devo fare un passo indietro. Perché più parlo di Dio con alcune persone, in altri contesti e più ho l’impressione di dare fastidio.
Devo cercare di capire quando è il momento e quando non è, per parlare di Dio.
Per me testimoniare, non significa imporre la propria idea, ma è la voglia di condividere con gli altri.
Io conosco tante persone che non si avvicinano per timore a Dio, perché sentono di avere fatto tanti peccati.
Ma anche il mio padre spirituale, mi dice sempre di non essere presuntuosa al punto di pensare di avere tanti peccati rispetto agli altri.
Dovremmo tutti quanti capire, che la confessione serve per ripulirsi e pentirsi col cuore dei propri peccati, per poi andare avanti più leggeri e più liberi, togliendosi il peso di tutte le cose che abbiamo fatto e per le quali ci siamo pentiti.
Anche molti sacerdoti, durante la predica, dovrebbero trasmettere amore.
Un sacerdote quando incontra un anima che non si confessa da tempo, secondo me, prova più gioia nel confessarlo, rispetto a chi si confessa tutte le settimane.
Dobbiamo fidarci di Gesù, confidare in Lui, anche dandogli i nostri problemi. Il modo che ha Gesù di risolvere i nostri problemi è sicuramente diverso dal nostro.
Leggere gli scritti, la Bibbia servono ad illuminarci.
Per me un grande illuminato è Papa Benedetto XVI, è rimasto il mio Papa.
Adesso c’è Papa Francesco che amo ed è diretto.
Il fatto che ci sia stato Papa Benedetto, a me da sicurezza, perché lui è stato un pilastro per tutti, e leggere quello che lui ha scritto, mi fa capire la sua umiltà, mi arricchisce e m’illumina.
Com’è cambiata la tua vita dopo questa esperienza?
Da quando sono uscita dall’ospedale, ho iniziato a frequentare molto di più la Chiesa della Divina Misericordia.
Una domenica sono andata a chiedere al sacerdote (che ha vissuto molto con Giovanni Paolo II), cosa potevo fare.
Alla fine della messa disse, che stava cercando dei volontari per il giorno della Divina Misericordia, nell’anno in cui hanno beatificato Giovanni Paolo II.
Il giorno della Divina Misericordia, era la prima domenica dopo Pasqua, esattamente l’1 maggio. Roma era stracolma di gente.
Da allora, sono una delle volontarie.
Quando c’è la festa della Divina Misericordia, io sto all’altare di Giovanni Paolo II, dove c’è il suo sangue e la statua della Madonna di Fatima.
Sto tutto il giorno lì, le persone vengono da me, mi danno in mano le foto dei loro cari, le loro immagini, il rosario, e io li appoggio sulla reliquia di Giovanni Paolo II e sulla statua di Maria di Fatima e poi li riconsegno a loro.
Vivo in un’altra dimensione, mi sento utile per gli altri e vedo che c’è tanta devozione nella gente.
Servizio di Rita Sberna