Catechismo e pena di morte: tanto rumore per nulla

La recente modifica del n° 2267 del #Catechismo della #Chiesa Cattolica in merito all’illiceità della #penadimorte va interpretata per quello che realmente è: un passo avanti nella difesa della sacralità della vita e nella concreta declinazione del Quinto Comandamento.

Nella sostanza, la Dottrina Sociale della Chiesa è da vari decenni nettamente sfavorevole alla pena capitale. Mancava però un ultimo tassello, che, in particolare sul piano simbolico, va letto come un segnale preciso che papa Francesco ha voluto dare a tutti i governi – dall’Arabia Saudita a molti stati degli USA, passando per la Corea del Nord – che ancora prevedono la pena di morte nei loro ordinamenti, mettendola in pratica con una certa frequenza.

Si è trattato di un atto legittimo anche sul piano formale, nella misura in cui il Pontefice ha la facoltà di modificare il Catechismo, se le innovazioni sono in linea con il Decalogo e con i principi fondativi della morale cattolica e della dottrina sociale. Francesco ha preferito non attendere la stesura di un nuovo Catechismo, proprio a sottolineare l’urgenza di una presa di posizione netta da parte della Santa Sede, in grado di chiamare in causa i cattolici e gli uomini di buona volontà di tutto il mondo.

Se è vero che, nel Catechismo del 1992, ratificato da San Giovanni Paolo II e realizzato dal suo successore, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, veniva lasciato uno spiraglio sul piano puramente ipotetico e teorico, è anche vero che la linea wojtyla-ratzingeriana ha sempre premuto per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo, anche in ragione delle mutate condizioni storiche e della sicurezza logistica delle carceri.

Detto in altri termini: la liceità della pena di morte, sostenuta dalla Chiesa in passato, non è affatto un dogma di fede. Il Concilio di Trento, ad esempio, la ammetteva “per reprimere i facinorosi e difendere gli innocenti”. Il fine era dunque “la tutela della vita e della tranquillità umana”. Era ben saldo, dunque, il principio di protezione dei più inermi, qualora la sola detenzione carceraria dei criminali non potesse garantirla. Già da allora, tuttavia, nell’arco di un paio di secoli, la dottrina ufficiale si è evoluta, escludendo dalla pena di morte i suddetti “facinorosi” e preservandola per i soli omicidi, in caso di reiterazione del delitto.

Fino al Catechismo del 1992, che affermava: “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”. I casi di necessità di soppressione del reo, veniva però puntualizzato, “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”, laddove oggi, il rafforzamento dei sistemi di sicurezza dei penitenziari impedisce fattualmente al detenuto di recidivare nel reato.

La modifica del Catechismo, tuttavia, non va ad inficiare minimamente il principio della legittima difesa, che si esercita al fuori del sistema penitenziario e che la Chiesa non intende affatto mettere in discussione: qualora vi sia un pericolo imminente e reale per l’incolumità di vite umane innocenti, “resta in piedi il dovere della pubblica autorità di difendere la vita dei cittadini”, si legge nella lettera ai Vescovi della Congregazione per la Dottrina della Fede, circa la nuova redazione del n° 2267 del Catechismo.

C’è un altro aspetto puntualizzato nella bolla di modifica del Catechismo ad opera di Bergoglio e riguarda la pena di morte come lesione alla “dignità della persona”: il reo, infatti, non perde tale dignità “neanche dopo aver commesso crimini gravissimi”. Un principio già espresso da Giovanni Paolo II che, nell’enciclica Evangelium vitae, auspicava un inquadramento del problema “nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio sull’uomo e sulla società”, oltre che “uno stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi” per il reo.

A dispetto delle critiche ricevute dagli ultraconservatori, quella sulla pena di morte, è un’altra delle riforme di papa Francesco in piena continuità con il magistero precedente. Una decisione che conferma la linea della misericordia come principio teologico, umano e sociale dell’attuale pontificato, che non nega la sanzione e la punizione a carico del reo, pur nell’ottica di una sua rieducazione e di un suo reinserimento nella società civile.

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Per approfondimenti: https://www.uccronline.it/?s=pena+di+morte&x=0&y=0