Chiara Amirante: un atto di umiltà, come quello di Benedetto XVI

Chiara Amirante
Chiara Amirante (Pagina Facebook)

È stata una notizia che ha rattristato molti. Da martedì scorso, dopo più di trent’anni, Chiara Amirante non è più la presidente della Comunità Nuovi Orizzonti. Significativamente le sue dimissioni sono state presentate poche settimane dopo la sua rielezione per il quinquennio 2024-2029. “Dopo aver accolto questa nomina, ho avuto però un ulteriore crollo della salute e un aggravarsi di numerosi sintomi allarmanti”, ha spiegato Amirante in una messaggio sul sito di Nuovi Orizzonti. “Ho dovuto allora, mio malgrado, riaprire il discernimento sulla compatibilità della mia “non-salute” con i tantissimi impegni connessi al ruolo di Presidente”.

Le condizioni della fondatrice di Nuovi Orizzonti sono state a lungo ad “alto rischio sia di ictus che di infarto, in un quadro generale caratterizzato da numerose patologie e quattro sindromi in stadio molto avanzato che rendono la gestione delle terapie di contenimento particolarmente complessa”. Un quadro generale che ha spinto Amirante a constatare l’“incompatibilità” della propria salute con gli “altissimi livelli di stress” che, per sua ammissione, caratterizzano “da troppo tempo” la sua vita. Parole che fanno riflettere chi, come il sottoscritto, ha conosciuto personalmente la fondatrice di Nuovi Orizzonti, sperimentando con i propri occhi il suo straordinario entusiasmo in occasione degli incontri e dei momenti di festa della sua Comunità.

“E gioia sia” è il motto ricorrente di Nuovi Orizzonti e dei canti che accompagnano le sue messe e i suoi raduni. Prima e dopo la fondazione del movimento, la vita di Chiara Amirante è stata una continua alternanza di gioie e dolori. A dispetto del sorriso che lei stessa non ha mai perso, la vita di Chiara Amirante non è mai stata semplice. Non solo perché, fin dalla giovane età, la sua salute ha spesso vacillato (il preludio della fondazione di Nuovi Orizzonti fu una sfiancante malattia agli occhi) ma soprattutto perché mettere da parte i propri sogni per dare vita a una comunità cattolica, in cui si rinuncia alla dimensione mondana e si vive di provvidenza, è qualcosa di niente affatto scontato. Anche in una vita in cui Dio è posto perfettamente al centro, i dolori e le delusioni ci saranno sempre, perché, oltre che con Dio (del quale, comunque, non è mai facile conoscere la volontà), bisogna avere a che fare con gli uomini e questi ultimi non sempre sono all’altezza delle aspettative. Ciò vale per qualunque santo canonizzato e, a maggior ragione, per i santi fondatori di movimenti, comunità o congregazioni.

A cavallo tra XX e XXI secolo, molti fondatori hanno mantenuto l’incarico di leader della propria comunità fino alla fine dei propri giorni, spesso gravati dall’età avanzata e dalla malattia: don Luigi Giussani (1922-2005) rimase alla guida di Comunione e Liberazione fino alla morte, avvenuta all’età di 82 anni, così Chiara Lubich (1920-2008) è stata a capo dei Focolari fino alla fine dei suoi giorni, quindi, fino agli 88 anni. Chiara Amirante ha lasciato la leadership della sua comunità a soli 57 anni. Una scelta comunque rispettabile, perché sicuramente frutto di un attento discernimento. È come se, in un ruolo ben diverso, papa Benedetto XVI avesse fatto da apripista, con la sua rinuncia al pontificato.

È vero che la leadership di qualunque realtà ecclesiale – grande o piccola che sia – comporta sempre il portare la Croce assieme a Cristo, condividendo tutto con lui, dal Tabor al Golgota. È altrettanto vero, però, che una virtù oggi da riscoprire è indubbiamente quella dell’umiltà. Qualunque ruolo, sia nel mondo, sia nella Chiesa, può essere vissuto in spirito di servizio o, al contrario, all’insegna della vanità spirituale. Premesso che, con tutta probabilità, le motivazioni di Chiara Amirante, sono davvero legate alla sua salute e che si presume sia state frutto di una scelta molto sofferta, rimane la convinzione che, farsi da parte e lasciare il proprio ruolo a qualcun altro è sempre un atto di coraggio o di umiltà. Perdere volontariamente la propria visibilità è un atto straordinariamente controcorrente in tempi di social, di influencer e di caccia alla visualizzazione facile. Lo ha fatto Mosè a vantaggio di Giosuè. Lo ha fatto Giovanni Battista a vantaggio di Gesù. Arriverà un momento della nostra vita in cui riconosceremo che non è più il nostro tempo. Arriverà un momento della nostra vita in cui ammetteremo che qualcuno potrà fare meglio di noi. Arriverà un momento della nostra vita in cui la solitudine e il silenzio non saranno più sinonimo di tristezza o di disperazione ma ci porteranno con il cuore in quel deserto dell’anima – siamo in piena Quaresima, ricordiamolo – in cui si può incontrare Dio.