Sono settimane intense per papa Francesco e per la Chiesa intera. Dopo la nomina del cardinale Matteo Zuppi a presidente della CEI e nell’imminenza dell’Incontro Mondiale delle Famiglie a Roma (22-26 giugno 2022), è arrivato, piuttosto a sorpresa, l’annuncio di un nuovo concistoro per la creazione di 21 nuovi cardinali, di cui 16 elettori.
Bergoglio migliora così il suo primato: dal prossimo 27 agosto salirà a 122 il numero di cardinali creati in 8 concistori indetti nell’arco di 8 anni (circa 15 all’anno in media). I porporati scelti dall’attuale pontefice sono originari di 59 Paesi, 18 dei quali non avevano mai vantato un cardinale prima del 2014. Prima di lui, Benedetto XVI aveva nominato 90 cardinali in 8 anni (circa 11 all’anno in media). Prima ancora, San Giovanni Paolo II aveva nominato 231 cardinali, nell’arco 9 concistori, distribuiti però nell’arco di 26 anni (circa 9 all’anno in media). Francesco è quindi il Papa con la più alta frequenza di nomine cardinalizie dell’epoca moderna.
L’importanza dei concistori di papa Francesco non è tuttavia soltanto “quantitativa”. Ogni giro di nomine cardinalizie dal 22 febbraio 2014 ad oggi è sempre stato coerentemente nel segno del rinnovamento e della pluralità. In altre parole, in questi otto anni, è enormemente cresciuto il peso specifico delle chiese “periferiche” ed emergenti. Si consolidano quindi le chiese latino-americane e cresce notevolmente l’influenza degli episcopati afro-asiatici. Non c’è diocesi, ormai, che non possa essere potenzialmente coinvolta da qualche nomina cardinalizia. Andiamo ora a conoscere da vicino l’identità dei nuovi porporati e il valore “politico” della loro scelta da parte del Papa.
Il primo risvolto che balza agli occhi sono le relativamente esigue nomine di cardinali europei. La consegna della berretta rossa all’inglese Arthur Roche, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e allo spagnolo Fernando Vérgez Alzaga, presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, è un atto dovuto, in quanto capidicastero nella Curia Vaticana. Più interesse desta invece la nomina dell’arcivescovo di Marsiglia, Jean-Marc Avelin, mentre ancora una volta Parigi – per secoli inamovibile sede cardinalizia – è rimasta scoperta: è probabile che Francesco abbia voluto valorizzare Marsiglia in quanto città multietnica e terreno di dialogo interreligioso, vista l’altissima densità di immigrati musulmani. A questi nomi si aggiunge quello di un ultraottantenne emerito, il belga Lucas Van Looy, arcivescovo emerito di Gent.
Più articolato è lo scenario italiano dove, specularmente a quanto avvenuto in Francia, il Papa ha voluto nominare cardinale l’arcivescovo di Como, Oscar Cantoni, lasciando in sospeso Mario Delpini, titolare dell’arcidiocesi di Milano, notoriamente la più popolosa, ricca e influente d’Europa. Una mancata nomina, quella di Delpini, su cui pesa un’accusa di copertura – ancora tutta da dimostrare – intorno a un caso di pedofilia nell’arcidiocesi ambrosiana.
Nel segno della novità è soprattutto la nomina di Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator in Mongolia, che, a 47 anni, diventerà il più giovane componente dell’attuale collegio cardinalizio. Non è la prima volta che il pontefice argentino conferisce la berretta rossa a un missionario d’alto livello in terra straniera: si pensi, ad esempio, alla nomina, nel 2019, di Eugenio Dal Corso, vescovo emerito di Benguela in Angola. È un modo tra i tanti, con cui il Santo Padre intende incentivare le “chiese di frontiera” che operano nelle periferie globali a cui lo stesso Bergoglio in tante occasioni ha accennato.
Completano la lista degli italiani, tre ultraottantenni non elettori: l’arcivescovo emerito di Cagliari, Arrigo Miglio; il teologo gesuita Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana; Fortunato Frezza, canonico di San Pietro.
La componente africana del collegio cardinalizio si arricchisce di due nuovi membri: Richard Kuuia Baawobr M. Afr, vescovo di Wa (Ghana), e Peter Okpaleke, vescovo di Ekwulobia (Nigeria). Tra le new entry, anche cinque asiatici: Filipe Neri António Sebastião di Rosário Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão (India); Virgilio Do Carmo Da Silva, S.D.B., arcivescovo di Dili (Timor Orientale); Anthony Poola, arcivescovo di Hyderabad (India); William Goh Seng Chye, arcivescovo di Singapore; Lazzaro You Heung sik, prefetto della Congregazione del Clero, primo coreano posto a capo di un dicastero vaticano. I latino-americani sono quattro: Leonardo Ulrich Steiner, O.F.M., arcivescovo Metropolita di Manaus (Brasile); Paulo Cezar Costa, arcivescovo Metropolita di Brasília (Brasile); Adalberto Martínez Flores, arcivescovo Metropolita di Asunción (Paraguay); l’ultraottantenne non elettore Jorge Enrique Jiménez Carvajal, arcivescovo Emerito di Cartagena (Colombia).
L’unica nomina nordamericana è probabilmente quella che farà più discutere: Robert Walter McElroy, vescovo di San Diego è intervenuto nel dibattito sulla comunione ai politici abortisti, affermando che la loro esclusione dai sacramenti porterebbe “conseguenze tremendamente distruttive”. Una linea parecchio distante dalle posizioni di Salvatore Cordileone e José Gomez, rispettivamente arcivescovo di San Francisco e arcivescovo di Los Angeles. Il primo aveva promesso che non avrebbe dato l’eucaristia a politici come la speaker Democratica della Camera, Nancy Pelosi, cattolica ma a favore dell’aborto. Il secondo, in qualità di presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, ha promosso la stesura di un documento con lo scopo di far chiarezza in materia.
Non si creda, con questo, che le posizioni del cardinale designato McElroy siano poco pro-life: il vescovo di San Diego ha partecipato lo scorso gennaio alla Walk for Life, versione californiana della più nota March for Life. In quell’occasione McElroy ha accolto la probabile sentenza contraria all’aborto della Corte Suprema (che si dovrebbe pronunciare a riguardo verso la fine di giugno), come “un momento storico per la nostra nazione”, quindi come “un grande momento di speranza” di cui “ringraziare Dio”. Uno stile spiazzante e sorprendente quello di McElroy, molto simile, del resto, all’approccio del Papa che lo ha nominato.