Il segno di Maria sugli Europei?

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontra la nazionale italiana vincitrice dell'Europeo 2020
Foto: Presidenza della Repubblica (https://www.quirinale.it/elementi/59074)

La vittoria dell’Italia agli Europei di calcio a molti non è andata giù. Qualche nostro quotidiano liberal e parecchio snob ha mostrato solo fastidio per i caroselli post-finale e per i possibili contagi conseguenti. Gli inglesi non l’hanno presa per niente bene. Abbiamo visto: giocatori col broncio levarsi la medaglia del secondo classificato; tifosi lasciare Wembley prima della premiazione; altri tifosi picchiare i supporter italiani; altri ancora usare epiteti razzisti contro i giocatori di colore che avevano sbagliato i rigori; c’è poi chi ha gridato ai favori arbitrari nei confronti degli azzurri. Non male per un paese e per una nazionale di calcio che si erano preparati alla competizione all’insegna dell’inclusività, del politically correct e delle genuflessioni antirazziste. L’ultima perla è arrivata dall’Economist che scrive: “L’aspetto più sorprendente è che tra i 26 convocati dell’Italia non ci fosse un solo giocatore considerato di colore”. Pertanto, il risultato finale sarebbe una “vittoria per la destra italiana”.

Avevamo già scritto, alla vigilia della conclusione del torneo, che si era trattato della manifestazione sportiva più ideologica di sempre. Ovviamente non ricorderemo Euro 2020 per questo ma per l’insperato, sofferto – e meritato – trionfo degli azzurri. Una vittoria che, ovviamente, non ha solo un significato sportivo ma anche umano. Una nazionale che ripartiva da zero, dopo l’umiliante esclusione dai mondiali di Russia 2018, seguita, due anni dopo, dall’interruzione dovuta alla pandemia, con tutti i disagi correlati e con lo slittamento di un anno degli Europei. Le umiliazioni e le difficoltà sono fatte per temprare il carattere e per dare autenticità ai riscatti. Così è stato per questa nazionale. È stato emozionante per l’intero paese vedere, dopo l’ultimo rigore parato da Donnarumma, l’abbraccio tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli. Quest’ultimo è stato scelto dal ct come capodelegazione della squadra azzurra, a coronamento di un’amicizia quarantennale, che va oltre i campi da calcio. Proprio a Wembley, nel 1992, Vialli e Mancini avevano perduto una finale di Champions League. 29 anni dopo vi sono tornati da trionfatori.

È stato proprio Mancini a plasmare fortemente il team, compattando 26 giocatori molto diversi per temperamento e per qualità tecniche. Una nazionale che non ha mollato mai, battendo squadre alla vigilia più quotate come il Belgio, la Spagna e infine l’Inghilterra, padrone di casa. Un Europeo ricco di storie personali intense. Come quella di Leonardo Spinazzola, che, infortunatosi gravemente ai quarti di finale e destinato a stare lontano dai campi di gioco per mesi, è andato a sollevare la coppa reggendosi sulle sue stampelle. Come Gigio Donnarumma, l’eroe della serata di Wembley, che, perdendo il conto dei rigori, non ha esultato dopo il penalty decisivo da lui parato. Come Federico Bernardeschi che ha disputato l’intero torneo con il cuore rivolto al suo imminente matrimonio, celebrato due giorni dopo la finale.

Una nazionale forgiata anche dalla fede di alcuni suoi componenti. Molti di loro sono cresciuti in oratorio. Come Leonardo Bonucci, molto devoto di Santa Rosa, che alcuni anni fa ha affrontato la malattia del figlioletto Matteo. “Io sono credente, e in quei momenti ho chiacchierato parecchio con il Signore”, dichiarò all’epoca il difensore della Juventus e della nazionale.

Ciro Immobile, autore di due gol agli Europei, è devoto della Madonna della Neve, patrona di Torre Annunziata, dove l’attaccante della Lazio è nato, 31 anni fa. Sposato da sette anni con Jessica, anche lei molto credente, entrambi credono in valori come il “rispetto”, l’“umiltà”, la “solidarietà nei confronti del prossimo. Cerco di essere un buon cattolico”, anche se, ammette Immobile, “la domenica ho spesso da fare, e non vado in chiesa…”. Ciro e Jessica hanno tre figli e a maggio sono stati ospiti in Vaticano per gli Stati Generali della Natalità, dove hanno incontrato papa Francesco.

L’oriundo brasiliano Jorginho ha addirittura iniziato la sua attività calcistica in un monastero. Quando il futuro campione d’Europa era ancora quindicenne e da poco trasferito a Verona, il suo direttore sportivo Riccardo Prisciantelli faceva offerte ai monaci perché educassero e crescessero il ragazzo, la cui famiglia, poverissima, non poteva mantenerlo. Più volte sul punto di mollare l’attività agonistica, Jorginho è stato incoraggiato dalla madre a tenere duro. Una quindicina d’anni dopo, quel ragazzo di umilissime origini si è trovato due volte sul tetto d’Europa: con il Chelsea, vincitore della Champions League e, poche settimane più tardi, con la nazionale italiana.

La storia più incredibile, comunque, è proprio quella di Roberto Mancini. Il ct è andato più volte in pellegrinaggio a Medjugorje, è amico della veggente Vicka e una notte gli è addirittura apparsa in sogno la Madonna. Ha pregato intensamente per l’amico Vialli, quando quest’ultimo, quattro anni fa, si è ammalato di cancro, per poi guarire. “La Madonna è la mamma di tutti noi, ci è sempre vicina”, ha dichiarato Mancini non molto tempo fa. Nel dicembre 2019, suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom-Regina della Pace, gli disse profeticamente: “Roberto, tu vincerai gli Europei perché hai la Madonna con te e tu puoi essere un seme di evangelizzazione”. Un anno e mezzo dopo il trionfo azzurro è puntualmente avvenuto. L’11 luglio, festa di San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, nell’anno del quarantennale delle apparizioni a Medjugorje, la nazionale italiana (l’azzurro è il colore mariano per eccellenza), conquista il suo secondo titolo europeo, guidata da un ct fervente devoto mariano e “medjugoriano”. I segni di Dio passano anche per un campo da gioco…