Sin da bambino i miei genitori mi hanno insegnato ad apprezzare la montagna. Prima mi fecero scoprire le Alpi (Trentino e Valle d’Aosta in particolare), poi gli Appennini (Abruzzo in primis). E fin dalle prime battute, iniziai a notare la presenza di tante croci sulle alture. Ai tempi pensavo fossero omaggi ad alpinisti periti nelle loro escursioni. Solo in seguito, ho scoperto erano simboli di vita, non di morte. Una croce in montagna è un segno della presenza di Dio tra noi. Di simboli e devozioni simili ve ne sono anche in ambito marino: da Maria Stella del Mare, alla Madonna dei Naviganti, fino al Cristo degli Abissi.
Con la montagna, tuttavia, come già avevamo ricordato in un editoriale degli anni passati, Dio ha una sorta di rapporto privilegiato. La montagna è ascesa verso il Cielo. Già nei Vangeli, vediamo Gesù recarsi in preghiera e in raccoglimento in cima a qualche piccola o grande altura: il Tabor, il Getsemani, infine il Golgota. Tutte le volte che Gesù scende di quota, lo fa per salvare qualcuno dalla perdizione o dalla disperazione, come quando risana il cieco di Gerico (cfr Mc 10,46-52; Mt 20,29-34; Lc 18,35-43). Anche il mare di Galilea, in fondo, è un luogo posto “in basso”, da cui uomini normali e anche fragili, saranno sempre più elevati, nel loro incredibile cammino da pescatori a “pescatori di uomini”.
Ci sono croci in montagna perché anche Cristo ha scalato le montagne. Ci sono croci in montagna perché sono i luoghi più vicini al Cielo. Ci sono croci in montagna perché Dio vuol fare compagnia all’uomo anche nella bellezza di quella natura che Lui stesso ha creato. Ci sono croci in montagna perché il percorso dello scalatore è analogo a quello dell’asceta: la fatica, l’asperità, la lotta con i propri limiti, poi il raggiungimento di una vetta che è il trionfo dell’aria pura e della luce tersa.
Il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925), grande appassionato di alpinismo e di escursioni, scriveva: “Ogni giorno che passa mi innamoro sempre più della montagna; il suo fascino mi attira. Io capisco questo desiderio di sole, di salire su, in alto, di andare a trovare Dio in vetta. Oh, come le opere di Dio sono grandi e meravigliose! Vorrei passare intere giornate sui monti a contemplare in quell’aria pura la Grandezza del Creatore”.
Alcuni giorni fa, è scoppiato il caso del Club Alpino Italiano, nell’ambito del quale qualcuno ha auspicato la non edificazione di nuove croci in montagna, per ragioni in parte ambientali, in parte per non entrare troppo in collisione con altre tradizioni religiose. Un discorso che si è prestato a fraintendimenti e a polemiche anche a sfondo politico.
Non è sulla diatriba contingente (peraltro ormai decisamente rientrata) che ci vogliamo soffermare. Sarebbe utile, però, trarre spunto da una discussione tutto sommato di non grandissima levatura, per riscoprire la bellezza di una tradizione che non merita di essere liquidata per ragioni così “pragmatiche” e contingenti. Un simbolo così bello, perché non meriterebbe di essere rinnovato? Perché, in un futuro più o meno immediato, non dovremmo installare nuove croci in cima alle nostre montagne? Che cosa ci dovrebbe impedire, aprioristicamente, di pensare a una possibilità del genere? Nel corso delle nostre escursioni estive, fissando lo sguardo sulla bellezza di questi simboli e rifuggendo da meschinità ideologiche senza futuro potremo trarne una risposta.