La cannabis? Non sarà mai “light”… Una risposta a Saviano
Nel clamore di queste settimane, pressoché monopolizzate dalle vicende delle navi #Aquarius e #LifeLine, è passata particolarmente in sordina una notizia che coinvolge da vicino l’universo giovanile. Lo scorso 21 giugno, il Consiglio Superiore della Sanità ha espresso parere negativo sulla vendita legalizzata della cannabis light. Il riscontro è avvenuto a seguito di una richiesta di parere, lo scorso febbraio, da parte del segretariato generale del Ministero della Salute riguardo alla pericolosità per la salute di questo tipo di cannabinoidi e sull’opportunità della loro messa in commercio.
Secondo il responso del CSS, le infiorescenze della cannabis light, anche a basse concentrazioni (sotto lo 0,6%, come consentito dalla recente parziale depenalizzazione), presenterebbero “principi attivi” che “possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili”. Non è stato valutato, inoltre, “il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione”.
Quanto alla commercializzazione, l’organo consultivo ritiene che “la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o ‘cannabis light’ o ‘cannabis leggera’”, in forza delle motivazioni pocanzi elencate, “pone certamente motivo di preoccupazione”.
Un segnale assai forte e da tenere in considerazione, dunque, riguardo ad un prodotto che, negli ultimi mesi, ha conosciuto un vero e proprio boom di vendite nei negozi specializzati. Una sentenza di cui il parlamento, il governo e la magistratura dovranno tenere conto, sebbene il nuovo ministro della Salute, Giulia Grillo, abbia escluso di mettere in discussione la legge 242/2016, che sancisce la libera vendita della cannabis a concentrazione minima.
Il parere del CSS si pone anche in contrasto con l’opinione di tante “icone pop”: dal cantante J-Ax, che possiede un negozio di cannabis light, a Roberto Saviano che ha addirittura fatto propaganda nelle scuole per l’allargamento della depenalizzazione. Il noto scrittore e opinion leader porta avanti da anni la classica argomentazione secondo cui il proibizionismo è sempre dannoso, citando l’esempio degli USA degli anni ’20, che permise alla criminalità organizzata di arricchirsi con il contrabbando di alcolici; ha quindi mostrato agli studenti la foto di Al Capone, forse al fine di convogliarli ‘emotivamente’ verso una mentalità antiproibizionista. Inoltre, secondo Saviano, “se sulla cannabis venisse applicata la stessa imposta applicata sulle sigarette, allo Stato entrerebbero 3,9 miliardi di euro”.
La “lezione” di Saviano – oltretutto priva di contraddittorio – è stata trasmessa sulla TV di stato (RaiDue, per l’esattezza), senza destare il dibattito mediatico che avrebbe realmente meritato. Poche le voci fuori dal coro: tra queste quella di Enzo Pennetta, scrittore, blogger e docente di biologia, che ha chiesto alla Rai di poter svolgere anch’egli una “lezione televisiva” di segno uguale e contrario. “L’uso di Thc presente nella cannabis danneggia la corteccia cerebrale provocando una diminuzione dei valori dei quozienti di intelligenza misurati con i test, come evidenziato da uno studio pubblicato sulla rivista ufficiale della United States National Academy of Sciences”, ha dichiarato lo studioso in un’intervista a InTerris.