Il mese di luglio che sta per concludersi ha offerto una serie di spunti importanti nel delicato scenario delle politiche alimentari. Il fatto più allarmante è rappresentato dal mancato rinnovo della Black Sea Grain Initiative, che per un anno aveva permesso – pur tra molte imperfezioni – l’esportazione di grano dai porti ucraini occupati dall’esercito russo. Mosca aveva acconsentito a questo compromesso con Kiev, ottenuto grazie alla mediazione delle Nazioni Unite e della Turchia, in cambio della libera esportazione di fertilizzanti e di varie materie prime russi. Avendo lamentato più volte il non rispetto dei patti, il governo di Vladimir Putin ha stabilito di non proseguire questo accordo.
Al momento si stanno studiando soluzioni alternative, tuttavia il quadro è complicato da un ulteriore blocco alle importazioni dei cereali e di altri prodotti agricoli ucraini, disposto da cinque Paesi confinanti (Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, peraltro tutti solidi alleati dell’Ucraina), concordato con l’Unione Europea e vigente fino al prossimo 15 settembre. Se da un lato, i sostenitori dell’Ucraina contestano il venir meno di una risorsa fondamentale e a basso costo per i Paesi in via di sviluppo (in primis per l’Africa), dall’altro è stato lo stesso Putin a spiazzare tutti, promettendo la distribuzione gratis del grano russo a quegli stessi Paesi.
Lo scenario bellico attuale e l’inenarrabile tensione tra le potenze mondiali hanno gravi ripercussioni sull’equa distribuzione del cibo e dell’acqua nel mondo. Papa Francesco ha sollevato la questione in tante occasioni, compreso il messaggio da lui stesso inviato lo scorso 3 luglio, alla 43° sessione dalla Conferenza della Fao: “Milioni di persone continuano a subire la miseria e la malnutrizione nel mondo, a causa di conflitti armati, come pure del cambiamento climatico e dei conseguenti disastri naturali”, ha esortato il Santo Padre.
“La povertà, le disuguaglianze, la mancanza di accesso a risorse elementari come il cibo, l’acqua potabile, la sanità, l’educazione, l’alloggio, sono un grave affronto alla dignità umana”, ammonisce il Pontefice che aggiunge: “I dislocamenti di massa, uniti agli altri effetti delle tensioni politiche, economiche e militari su scala planetaria, indeboliscono gli sforzi che si compiono per garantire un miglioramento delle condizioni di vita delle persone a motivo della loro dignità intrinseca”. Il Papa condivide l’obiettivo “Fame zero”, fissato dalle Nazioni Unite entro il 2030 ma, al contempo, chiede come condizione di fermare la “colonizzazione ideologica”, che distrugge le tradizioni e le diversità culturali “in nome di un’idea miope di progresso”.
Sempre alla Fao, dal 24 al 26 luglio si è tenuto il secondo Vertice dei sistemi alimentari delle Nazioni Unite, aperto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni (intervenuta in rappresentanza del Paese ospitante) e dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, alla presenza di capi di Stato e di governo da 193 Paesi del mondo. Molte delle personalità intervenute hanno insistito sulla necessità di ricucire l’accordo russo-ucraino sul grano. Nondimeno, altri interlocutori si sono soffermati sulla sfida dei cambiamenti climatici e sulla necessità di sistemi alimentari sostenibili.
In questo passaggio storico, le élite stanno affrontando un drammatico dilemma: da un lato, rispettare l’ambiente è assolutamente prioritario, dall’altro, il mondo è pieno di bocche da sfamare e la loro sopravvivenza non può essere messa in secondo piano rispetto all’obiettivo di preservare una foresta o di non provocare sconvolgimenti meteorologici.
Esiste, tuttavia, una prospettiva meno dicotomica, più armoniosa e più coerente con la natura dell’uomo e con quella del creato. Come già, avevamo osservato in un editoriale dello scorso anno, nel Vangelo non viene mai posto il problema della scarsità di cibo. Ciò non vuol dire che la piaga della denutrizione non esista o che Gesù rimanga indifferente a chi ha fame.
L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr Gv 6,1-16), al di là del risvolto miracoloso, mostra una realtà difficilmente confutabile: di cibo sulla terra ce n’è in abbondanza. È compito dell’uomo, però, imparare a condividerlo, tanto è vero che Gesù non compie il suo miracolo da solo ma chiede la collaborazione dei discepoli, affinché loro stessi mettano per primi a disposizione i cinque pani d’orzo e i due pesci. Le risorse naturali sono potenzialmente infinite e gli animali – a partire dagli uccelli del cielo (cfr Mt 6,26) – ne godono in abbondanza. Dal canto suo, l’uomo non deve preoccuparsi se ci sarà cibo ma di come distribuirlo, rinunciando anche a qualcosa per sé, quando ne possiede in abbondanza, per cedere a chi dispone meno di lui.
La fame nel mondo, dunque, non si vince con la calcolatrice alla mano, né snocciolando rapporti costi-benefici tra ciò che è utile all’uomo e ciò che inquina. La fame nel mondo si vince con la logica del dono, del sacrificio di sé e della responsabilità per sé e per gli altri. Gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo non hanno alcun senso se sono pure elemosine o se sono elargiti a condizioni umilianti come – per citarne una – l’imposizione di metodi contraccettivi alle popolazioni. La fame del mondo non si vince semplicemente donando cibo ma insegnando a chi non ne ha a trovarlo. E ciò vale a tutti i livelli: sia personale, sia istituzionale; sia locale, sia globale.