“La voce sottile” un romanzo per capire meglio che cos’è l’aborto e quali sono le sue conseguenze

“La voce sottile” un romanzo per capire meglio che cos’è l’aborto e quali sono le sue conseguenze

Nella società odierna esiste un grande male che semina milioni di morti innocenti, questo male è l’aborto!

La scrittrice Antonella Perconte Licatese, fra l’altro è anche autrice teatrale e docente, ha scritto un libro dal titolo “La voce sottile”, in questo romanzo Antonella racconta la storia di una donna Anna, in dialogo con il figlio abortito.

E’ un romanzo ricco di riflessioni.

Con Antonella Perconte abbiamo approfondito meglio le cause e le conseguenze che spingono una donna ad abortire.

 

Perché hai deciso di scrivere questo romanzo che parla di aborto?

In realtà non c’è stata una decisione vera e propria, ma è stato il frutto di una serie di “coincidenze”. Credo, infatti, che a volte nella vita ci troviamo di fronte a circostanze che hanno la forza di portarci in una direzione diversa da quella che avevamo stabilito di percorrere. Nel mio caso è andata così, perché inizialmente volevo scrivere una storia completamente diversa, che aveva sempre come tema “la vita” ma, raccontando del sacrificio di una recluta durante la Seconda Guerra Mondiale, ovviamente ne parlava in una prospettiva diametralmente opposta, cioè quella dell’offrire la propria vita per i propri fratelli.

Poi un giorno mi sono trovata “per caso” in piazza Farnese ad assistere ad una manifestazione contro l’aborto e ho sentito parlare per la prima volta di questo tema così delicato e importante, al quale, tra l’altro, non avevo mai prestato grande attenzione. E’ stata come una folgorazione, perché ho cambiato completamente il punto di vista della storia e ho deciso che mi sarei dovuta occupare di questa tematica.

Così ho iniziato a documentarmi e ho scoperto che esiste una “sindrome post-aborto”, relativa alle conseguenze psico-fisiche derivanti dalla scelta di interrompere la gravidanza.

 La donna del romanzo, scrive una sorta di diario in cui parla con questo figlio a cui ha negato la vita. Raccontaci meglio

Certo. La protagonista del romanzo si chiama, come dicevi, Anna. E’ sposata, ha due figli, ed è un’insegnante. Conduce apparentemente una vita ordinaria, ma in realtà, e questo lo apprendiamo già dalle prime pagine del libro, Anna si rivolge ininterrottamente, in una sorta di diario intimo, al figlio che lei stessa, molti anni prima, ha scelto di non far venire al mondo e lo fa compiendo una sorta di rielaborazione dei fatti avvenuti e del “lutto” che si porta dietro.

Decide di iniziare un percorso di riconoscimento del “volto umano”, di questo figlio che non ha avuto, proprio perché in realtà lei soffre della sindrome cui accennavo prima: si ritrova, cioè, a dover combattere quotidianamente con tutta una serie di sofferenze, che, tra l’altro, rischiano di compromettere anche i suoi equilibri familiari di donna e di madre.

Quali sono le conseguenze post – aborto?

Le conseguenze psico-fisiche dell’aborto volontario sono studiate in America fin dagli anni ‘60 dello scorso secolo, avvalorate da tutta una serie di casi clinici che io ho letto e studiato a fondo prima di scrivere il romanzo.

La sindrome post-aborto può insorgere sia nei primi mesi dopo l’evento che a distanza di anni, persino decenni. I sintomi sono piuttosto importanti: incapacità di provare emozioni, distacco dagli affetti, disturbi della comunicazione, del pensiero, dell’alimentazione bulimia e di anoressia, disturbi della sfera sessuale, neurovegetativi, fobici, d’ansia, depressione, pensieri suicidari con conseguenti tentativi di suicidio, disturbi del sonno.

Gli studi sono stati condotti non solo in America, ma anche in altre nazioni tra cui l’Italia e tutti concordano nell’individuare questi sintomi.

E’ un problema rilevante del quale non si parla; e vorrei a proposito far notare che se ne può fare una questione di giusta e corretta informazione: si firma, infatti, un consenso informato ma non si riesce a capire perché alle donne non venga mai chiarita la possibilità che possa insorge la sindrome. Io ritengo che questa sia una profonda ingiustizia nei confronti delle donne che poi si ritrovano a stare così male.

 Le donne che decidono di abortire solitamente riescono a perdonarsi?

E’ molto difficile rispondere a questa domanda. Il discorso varia certamente a seconda della storia personale, familiare, relazionale e ovviamente del contesto in cui si vive; per quanto riguarda la mia esperienza diretta posso dire che ho conosciuto diverse donne che, oltre a confermarmi la “verità” della sindrome mi hanno detto che è molto difficile arrivare ad un “perdono”, cioè si vive sempre con questa grave ferita all’interno del proprio animo, della propria psiche.

Non è certo impossibile; sicuramente una terapia psicanalitica oppure un percorso di fede, o entrambi, possono aiutare molto. Ognuno può trovare la sua strada.

Anna nel mio romanzo, ad esempio, questa via la cerca disperatamente e ad un certo punto la trova proprio svolgendo quel percorso di “riconoscimento del volto umano” al quale accennavo prima, che poi la porterà ad una sorta di “rinascita”.

Quello che posso assolutamente dire con certezza, proprio perché l’ho letto in svariati casi clinici, è il fatto che, però, non è la nascita di altri figli che va a colmare il vuoto di quello che non si è fatto nascere e ciò, mi appare ovvio, deriva dal fatto che ogni individuo è assolutamente unico e irripetibile. Un figlio non può “sostituire” un altro. Il figlio non avuto torna come pensiero costante. Questo avviene per Anna, ma sono gli stessi studi clinici che attestano l’esistenza di difficoltà anche a livello del rapporto con i figli avuti in seguito.

In poche parole, è la vita conseguente all’evento aborto che risulta stravolta e compromessa per sempre. Infatti, sono state evidenziate anche difficoltà con il partner o con i successivi e nella sfera sociale e lavorativa, che non sono da sottovalutare. E’ un trauma che definirei “totalizzante”.