Libertà religiosa: la madre di tutte le libertà

Libertà religiosa: la madre di tutte le libertà

La Corea del Nord è classificata tra i cinque paesi da ‘allarme rosso’, in cui la repressione antireligiosa è così spietata da non poter peggiorare ulteriormente. Sotto il regime di Pyongyang, si ritiene che migliaia di cristiani siano detenuti in campi di prigionia dove ricevono un trattamento più duro degli altri, a causa della loro fede. L’India è tristemente nota per l’ascesa inarrestabile del fondamentalismo induista e nazionalista, specie dopo l’affermazione del Bharatiya Janata Party. Nel 2016, gli attacchi anticristiani sono stati 358, ma nel 2017 sono raddoppiati, passando a 736.

E l’Europa? Il vecchio continente, che in teoria dovrebbe rappresentare il fulcro e il baluardo di tutte le libertà religiose, non se la passa troppo meglio. In Francia e in Belgio, cresce l’intolleranza da parte delle minoranze islamiche, attraverso atti di terrorismo mentre il vandalismo contro chiese, cimiteri e altri luoghi cristiani, avviene sia ad opera di musulmani che di satanisti. In Germania e in gran parte dell’Europa centrale crescono anche l’antisemitismo e la reazione uguale e contraria di frange anti-islamiche. Nel Regno Unito, scenario delle tragiche vicende dei piccoli Charlie Gard e Alfie Evans – entrambi, guardacaso, di famiglia cattolica – è ormai caccia alle streghe omofobe: sacerdoti condannati per aver affermato quanto dicono le Scritture in materia; studenti espulsi dai corsi universitari, lavoratori licenziati per aver affermato sul proprio profilo Facebook che i bambini vanno cresciuti da un papà e da una mamma. Per quanto riguarda l’Italia, il Rapporto menziona, tra le criticità, l’assenza di obiezione di coscienza per la legge sul fine vita, i ripetuti atti di vandalismo ai danni di simboli cristiani, la radicalizzazione dei detenuti musulmani, la recrudescenza dell’antisemitismo.

A più riprese, durante quasi sei anni di pontificato, papa Francesco ha denunciato la persecuzione dei cristiani, senza fare distinzione tra cattolici, ortodossi e protestanti, coniando così l’espressione “ecumenismo del sangue”. Al tempo stesso, il Santo Padre ha lamentato più volte il “silenzio colpevole dei media” sull’argomento, eppure, significativamente, ogniqualvolta si è espresso in questi termini, la stampa ha dato poco risalto alle sue affermazioni. Bergoglio è stato però anche il primo Papa ad esprimersi – non senza far discutere – sulla persecuzione di una minoranza non cristiana: nel caso specifico, i Rohingya birmani.

Quest’equanimità del Pontefice nel difendere la libertà religiosa a trecentosessanta gradi, è un conclamato frutto del Concilio Vaticano II che, attraverso la dichiarazione Dignitatis humanae (1965), includeva fattualmente tale principio tra i diritti umani da tutelare, degno di essere “riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società” (DH 2). La libertà religiosa è da considerarsi nelle molteplici forme della libertà di espressione del proprio pensiero religioso e di insegnamento dello stesso, nella libertà di culto, di conversione, di mantenimento del proprio credo, persino nella libertà di apostasia. Secondo il documento conciliare, “affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società” (DH 15).

La libertà religiosa è quindi il vero e autentico fondamento di tutte le altre libertà, mentre la testimonianza dei martiri non è altro che l’incarnazione di tale libertà nel vissuto quotidiano. Una testimonianza che, andando contro il pensiero mondano dominante, ribadisce quanto la morte non abbia mai l’ultima parola, né sia in grado di spegnere la speranza.