Il mondo dello showbiz si caratterizza, tra l’altro, per fenomeni stagionali pompati all’inverosimile. Basti pensare al successo dei Måneskin, che quest’anno hanno messo a segno il loro triplete: Festival di Sanremo, Eurofestival e, più di recente, nientemeno che l’apertura di un concerto dei Rolling Stones a Las Vegas. Un privilegio, quest’ultimo, mai concesso a Zucchero, Vasco Rossi, Ligabue, né a nessun’altra leggenda del rock italiano. Dopo anni di sbornia trap, torna di moda il rock? Non è da escluderlo ma non va mai dimenticato che il mercato discografico è talmente potente da riuscire, in molti casi, ad imporre mode calate dall’alto, plasmando i gusti del pubblico, piuttosto che intercettarli e adeguarvisi plasticamente.
Al netto delle differenze stilistiche, pur molto evidenti, c’è comunque una continuità tra fenomeni musicali come quello dei Måneskin o, ad esempio, quello di Achille Lauro. Il trait d’union è in una certa immagine ‘post-dark’ aggressiva, cupa e cinica. Al pari del performer romano, poi, il frontman della band, Damiano David, sta ultimamente esibendo un look gender fluid, con tanto di mascara e reggicalze. Al pari di Fedez, David tiene in bella mostra l’immancabile tatuaggio blasfemo.
Colpiscono (ma non troppo), inoltre, le reiterate dichiarazioni dei Måneskin contro l’omofobia. Per l’ineffabile David, la bocciatura del ddl Zan è stato un bel boccone amaro da mandare giù. “Peccato per i diritti civili, dove continuiamo a rimanere indietro, e invece per noi sarebbe stata la vittoria più importante”, ha sentenziato il cantante in un contesto non casuale, come quello della László Papp Budapest Sports Arena, in occasione degli MTV Ema Awards. Sia in Ungheria, che in Polonia, paesi ‘omofobi’ per la sensibilità di un europeo occidentale medio, i Måneskin hanno voluto farsi paladini della nuova liberazione sessuale, quella della gender identity, diventata ormai una sorta di lasciapassare per gli artisti della loro generazione.
Non diventi qualcuno nell’ambiente musicale, cinematografico o televisivo se non paghi il “dazio arcobaleno”. L’artista disimpegnato, che si contraddistingue esclusivamente per i suoi talenti musicali, sembra essere decisamente out di questi tempi. Non vieni pompato dalla stampa, se periodicamente non fai le tue dichiarazioni politically correct un tanto al chilo. I meno giovani ricordano bene che, negli anni ’70, fu tutto un fiorire di cantautori impegnati e di sinistra. Con una netta differenza rispetto a oggi: allora Guccini e gli Inti Illimani avevano successo perché rispecchiavano una coscienza popolare – giusta o sbagliata che fosse – non perché fossero costruiti a tavolino dal mercato. Al tempo stesso, per chi rifiutava la musica ideologizzata, c’erano pur sempre Battisti e Cocciante.
Oggi, la scena musicale è del tutto omologata, confusa e mistificata. Le cause che Fedez, Måneskin e compagnia cantante perseguono, sono sempre estremamente prevedibili. Passata la buriana dell’immigrazionismo, che tanto andava di moda tre-quattro anni fa, è il verbo lgbt ad occupare integralmente la scena. Altra vistosa differenza con gli anni ’70: per gli artisti ‘impegnati’ d’oggi non è affatto un tabù ostentare abiti firmati (spesso di dubbio gusto) e stili di vita edonistico-decadenti.
Quando i Måneskin parlano di “diritti”, poi, hanno in mente solo ed esclusivamente i diritti che piacciono a loro o si sono forse fermati un minuto a pensare, ad esempio, alla povera bimba partorita in Ucraina da una madre ‘surrogata’, per poi venire ignominiosamente abbandonata dai genitori adottanti? Davvero troppo facile e comodo, in questo modo, sposare delle cause attraverso pure e semplici dichiarazioni, peraltro ben poco scomode rispetto al pensiero unico dominante, evitando di sporcarsi le mani a difesa dei veri deboli. Gli artisti che oggi vanno per la maggiore, credono di fare la rivoluzione, quando in realtà sono un distillato di conformismo e difesa dello status quo.
Pochi giorni dopo l’apoteosi Måneskin, un altro personaggio dello spettacolo ha fatto parlare di sé per ragioni diametralmente opposte. Ci riferiamo alle clamorose dichiarazioni di Alfonso Signorini contro l’aborto. La campagna d’odio scatenata contro il noto giornalista e presentatore televisivo dai soliti paladini del politicamente corretto, è l’ennesima cartina di tornasole del livello intellettuale dei vip e degli influencer che, in nome della tolleranza, stanno fomentando un clima intollerante e dittatoriale. Signorini non è nuovo ad affermazioni spiazzanti e scandalose per la mentalità odierna. Dichiaratamente omosessuale, il conduttore aveva già fatto discutere per la sua contrarietà alle adozioni omogenitoriali e all’utero in affitto.
La vera libertà e la vera trasgressione, oggi, non sono certo quelle evocate dai Måneskin ma le troviamo assai di più nelle parole di Alfonso Signorini. Quanti cattolici praticanti, oggi, avrebbero il coraggio di parlare come ha fatto Signorini al Grande Fratello Vip? A volte, si riscontra molta più verità in vite imperfette come quella del conduttore televisivo, che non in tante anime belle che si autoproclamano cinture nere di rosario e catechesi.