“Una folla di gente / gridando “viva la morte” / proprio addosso mi è caduta”. Così cantava una cinquantina d’anni fa, Fabrizio De André, ironizzando su chi si infiammava in modo ingenuo per “idee che non han più corso il giorno dopo”. Facile profezia quella del grande cantautore genovese, il cui spunto di maggiore attualità è proprio in quel “viva la morte”.
È davvero una strana nemesi. Se un tempo qualcuno era disposto a “morire delle idee”, oggi… sono le idee che fanno morire. La cultura della morte è sottile, onnipervasiva e perniciosa. Abbiamo voluto a tutti i costi estromettere la morte dalle nostre vite e dal nostro immaginario quotidiano e, in modo beffardo, ce la ritroviamo come una presenza ossessiva nelle nostre menti e nei nostri discorsi d’ogni giorno.
L’esempio più emblematico è l’eutanasia. Nella forsennata e sciagurata fretta di emulare Paesi (a torto) ritenuti più progrediti e “avanti” – Olanda, Belgio e Canada in primis – la nostra Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge sulle Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita. Una patetica e ipocrita perifrasi per non ammettere che l’omicidio sarà legalizzato in alcuni casi: condizioni cliniche irreversibili, utilizzo di trattamenti di sostegno vitale, sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili. Non essendo vincolante il rischio conclamato di morte imminente, la norma si presta a interpretazioni pericolosamente elastiche. Fa specie non soltanto che una legge simile sia stata approvata da un ramo del Parlamento italiano ma che i suoi principali promotori ne abbiano preteso l’approvazione a tutti i costi, non ascoltando le ragioni degli oppositori e accogliendo soltanto una piccolissima parte degli emendamenti che ne avrebbero almeno in parte ammorbidito la portata eutanasica.
Siamo al paradosso: temiamo così tanto la morte, che, per contrastarla legalizziamo l’omicidio. Per nostra fortuna, la Corte Costituzionale, lo scorso 15 febbraio, aveva dichiarato inammissibile il referendum per l’abrogazione dell’omicidio del consenziente (art. 579 del Codice Penale) che, di fatto – prestandosi a truffe e inganni difficilmente smascherabili – avrebbe depenalizzato l’omicidio tout court.
La morte fa così tanto paura, che alcuni non riescono a liberarsi del suo pensiero. La mentalità eutanasica è così radicata nella popolazione che taluni arrivano a rimanere scandalizzati quando un malato grave afferma con tutte le sue poche forze un’incontenibile voglia di vivere. Così è avvenuto a Paolo Palumbo, lo chef sardo affetto da SLA, che sorprese e commosse tutti al Festival di Sanremo del 2020. Poche settimane fa, Palumbo è stato insultato su Instagram da un hater che testualmente gli consigliava di farsi fare una puntura per “volare in paradiso”.
Siamo ossessionati dalla morte in tante forme. Dopo due anni, la psicosi del Covid si è sicuramente attenuata ma non si è affatto esaurita. L’incessabile carrellata di bollettini funesti e di opinioni, sempre molto contrastanti, di specialisti in materia (o sedicenti tali) ha dato vita a un connubio esplosivo. E ci siamo ritrovati, anche qui, davanti a un grottesco paradosso: le autorità che imponevano restrizioni di ogni tipo per salvare vite sono le stesse che, con altrettanto zelo, si sono opposte a ogni forma di “cura precoce”, anche davanti a terapie dall’efficacia conclamata. Le stesse autorità che hanno portato avanti con grande enfasi – sempre per salvare vite – le varie campagne vaccinali, sono le stesse che poi hanno minimizzato sugli effetti avversi degli stessi vaccini, evitando di indagare sulla possibile correlazione con il lieve, ma pur sempre preoccupante, incremento della mortalità giovanile.
Ne è uscita, quantomeno nel nostro Paese, un’umanità sopravvissuta nel fisico ma morta nell’anima, che ha perso interesse per tutto ciò che rende l’uomo pienamente uomo: bellezza, amore, ingegno, creatività, coraggio. Un’umanità che, nella sostanza, ha smesso di vivere e si accontenta di sopravvivere. Giovani smarriti e spaventati dai ripetuti lockdown e dall’alienante pratica della didattica a distanza, che mortifica il lato nobile dell’educazione. Famiglie che, per paura del futuro, mettono al mondo sempre meno figli.
Conclusa – ma solo mediaticamente parlando – la pandemia, la morte continua ad arrivare in diretta nelle nostre case, con le orribili immagini della guerra in Ucraina. Eppure, non si vedono più le oceaniche manifestazioni per la pace dei decenni passati, quando si scendeva in piazza in opposizione a conflitti non più rilevanti dell’attuale, Vietnam e Iraq, in primis. La bandiera arcobaleno, quest’anno, è di un arcobaleno sbiadito. Pochissimi leader mondiali (fa eccezione papa Francesco, che ieri ha consacrato i due Paesi in guerra al Cuore Immacolato di Maria) parlano davvero di pace e di soluzioni diplomatiche. In compenso, assistiamo a una nuova corsa agli armamenti, sponsorizzata dai principali gruppi editoriali italiani e dal governo Draghi, che, de facto, ha già dichiarato guerra alla Russia e sta incrementando le spese militari.
Un quadro generale spettrale e apocalittico. La morte striscia subdola nelle nostre vite e le condiziona, fino a soffocarle, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Una presenza inquietante cui accondiscendiamo narcotizzati. Occorre un risveglio. Porgere lo sguardo verso il Crocefisso è il primo gesto che ci farà aprire gli occhi. Solo Lui può caricarsi del peso della Morte e insegnarci ad accettarla come un normale passaggio per ognuno di noi. Tra tre settimane, rivivremo tutto ciò e, quest’anno più che mai, il momento è propizio.