San Nicola: l’“antenato” di Babbo Natale

La memoria liturgica che più di tutte spiana la strada al Natale è molto probabilmente quella di San Nicola (6 dicembre). La tradizione legata al vescovo di Myra, diventato patrono di Bari, dopo che le sue reliquie furono traslate dall’Asia Minore alla Puglia alla fine del XI secolo, è fortemente legata alla cultura del dono, in special modo, nell’ambito dell’infanzia. Anche per ragioni di calendario, la celebrazione di San Nicola è andata fondendosi con quella natalizia, tuttavia, per svariati secoli ha brillato di luce propria, dando vita a un filone folcloristico di notevole rilevanza.

La leggenda di San Nicola come distributore di doni nasce da un aneddoto secondo il quale il futuro vescovo di Myra era andato in soccorso di una famiglia nobile caduta in disgrazia. In preda alla disperazione, il padre aveva pensato di avviare le figlie alla prostituzione. Profondamente turbato dalla vicenda, Nicola si era avvicinato di nascosto all’abitazione dello sfortunato aristocratico, lasciando scivolare dalla finestra tre palle d’oro (simili a quelle che in questi giorni appendiamo all’albero…) che permisero all’uomo di dare una dote alle figlie e di farle sposare, risparmiando loro così il disonore del meretricio. C’è anche una seconda leggenda, secondo la quale, entrato in una locanda il cui proprietario aveva ucciso tre ragazzi, per poi farli a pezzi e metterli sotto sale, Nicola scopre il delitto e resuscita i tre sfortunati. Per questa ragione San Nicola è diventato patrono dei bambini e, nelle immaginette sacre, viene rappresentato con tre bambini ai suoi piedi, dentro un catino. In altre raffigurazioni, gli attributi di San Nicola sono le tre palle d’oro dell’episodio precedente.

Il culto di San Nicola – equamente diffuso sia tra le chiese d’Oriente che tra quelle d’Occidente – si traduce in feste patronali particolarmente partecipate, in particolare nel Sud Italia. In alcuni paesi dell’appennino centrale, c’è l’usanza della distribuzione del Pane di San Nicola che talora consiste nel dono di caramelle e altri dolciumi ai bambini. A cavallo delle Alpi e nell’Europa centrale, invece, le celebrazioni del santo si intrecciano con la tradizione del Krampus, un demonio che, nelle sembianze di un essere mostruoso, scende dai boschi verso le città, dove si lascia ammansire da San Nicola. Il Krampus gira per le piazze e minaccia di punire i bambini e metterli nel sacco se non si comportano bene, prima dell’intervento esorcizzante del santo che, giunto a cavallo, distribuisce dolci e regali ai più buoni.

In che modo, allora, San Nicola è diventato Santa Claus, ovvero Babbo Natale? In parte ciò è dovuto alla reviviscenza di tradizioni pagane precristiane romane e germano-barbariche: sia Saturno che Odino, ad esempio, erano rappresentati come vecchi dalla barba bianca e in grado di volare. Quando poi, nel XVI secolo, la riforma protestante abolisce il culto dei santi, in Germania, in Olanda e nei paesi scandinavi, si dovette trovare un ‘sostituto’ di San Nicola, che in certi paesi, assume le forme del già citato Krampus, nelle varie denominazioni di Ru-klaus (Nicola il Rozzo), Aschenklas (Nicola di cenere) o Pelznickel (Nicola il Peloso). Queste tradizioni finirono in sordina per alcuni secoli, fino a quando in America, nella prima metà del 1800, fiorì un filone letterario per l’infanzia, che mirava a educare i bambini ad accogliere il Natale come una festa di famiglia. La poesia più nota è quella di Clement Clarke Moore, dal titolo A Visit from Saint Nicholas, in cui il santo è descritto secondo i dettagli dell’attuale Babbo Natale. Iniziano così ad apparire i primi Santa Claus (dall’olandese Sinterklaas), dalle sembianze che ben conosciamo: un anziano corpulento, dalla lunga barba bianca, infagottato in una strana veste rossa da bordi bianchi impellicciati. Anche la slitta appare già a quell’epoca, nelle varianti con una o con più renne, fino alle definitive otto.

Mentre il colore rosso, contrariamente a quanto molti affermano, non è legato alla celebre campagna pubblicitaria della Coca Cola, che contribuì a lanciare definitivamente Santa Claus negli anni ’30, è pressoché certo che, grazie alla Coca Cola, Babbo Natale assume la sua fisionomia attuale e più nota. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, poi, la figura di Babbo Natale diviene popolare anche in Europa: la distribuzione dei regali, spesso sollecitata dai desideri e dalle lettere dei bambini, era anche la metafora della ricostruzione post-bellica e della fiducia in un futuro di benessere e prosperità, tipico dell’era pre-consumista. C’è da aggiungere, comunque, che in molte delle rappresentazioni iconiche di San Nicola spicca il colore rosso dei paramenti e, in particolare, della mitria. In molte località dell’Europa centrale, ancora oggi, Babbo Natale si presenta proprio con quella mitria rossa sul capo.

Oggi il mito di Babbo Natale è un po’ in affanno. Non solo l’interminabile crisi economica attuale ha in parte ridimensionato la corsa ai regali per i più piccoli ma, di anno in anno, è sempre più bassa l’età in cui si smette di credere a Babbo Natale. Non sono mancati, negli anni passati, casi di insegnanti finiti nel polverone per aver svelato ai loro alunni l’inesistenza del loro beniamino. Ben venga, allora se Babbo Natale potrà aiutare l’infanzia di oggi, così smaliziata e precocemente ‘adultizzata’, a ritrovare la magia delle feste e del calore familiare. Meglio ancora se la favola di Santa Claus stimolerà gli adulti a raccontare ai bambini del suo illustre ‘antenato’: ascoltare le vite dei santi fa bene a qualsiasi età.