Ucraina: verso una tregua ma la pace è ancora lontana

Conseguenze del missile caduto in territorio polacco
Foto: WPBS TV (YouTube)

Si dice che in guerra la prima vittima è la verità e quanto accade da otto mesi in Ucraina ne è l’ennesima conferma. Nelle concitate dichiarazioni e interpretazioni di quanto accaduto dopo la caduta di un missile in territorio polacco, con la conseguente morte di due persone, abbiamo la certezza che almeno uno degli attori politici implicati ha detto una menzogna. Il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba aveva subito accusato la Russia, così come avevano fatto, in un primo momento, anche esponenti del governo polacco.

Ore di panico e di sgomento in tutto il mondo, poi la smentita, arrivata, tra gli altri, dal segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, dal presidente americano Joe Biden e dal suo omologo polacco Andrzej Duda: il missile piovuto in territorio polacco era, con tutta probabilità, ucraino, e aveva sconfinato per errore, forse in un impatto con l’arsenale russo. Un tragico incidente, dunque, non voluto da nessuna delle parti in causa. Alla luce del clima incandescente respiratosi fino a poche settimane fa, è un vero miracolo che l’episodio non sia stato strumentalizzato da nessuno dei belligeranti per giustificare un tragico “salto di qualità” nel conflitto, dalle conseguenze fatalmente irreversibili. Cosa ha determinato questa opzione prudenziale e “pacifica”?

Almeno tre sono le considerazioni che si possono fare in questo delicatissimo snodo del conflitto russo-ucraino. Il primo riguarda il cambio di strategia generale. I Paesi della NATO hanno preso atto dell’impossibile risoluzione immediata di un conflitto che rischia di impantanarsi ancora a lungo e finalmente hanno iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di una trattativa. In questo passaggio, il principale ostacolo alla pace è diventato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, le cui richieste di aiuti militari sono diventate sempre più insostenibili. Il rischio di una guerra nucleare è diventato sempre più concreto, al punto che i principali leader mondiali hanno scelto di non alzare il livello dello scontro: primo tra tutti Biden, appena uscito da una campagna elettorale che l’ha spinto ad abbassare i toni. Ora che i Democratici hanno perso la maggioranza alla Camera dei Deputati, è verosimile che questa linea meno guerrafondaia diventerà prevalente e continuativa.

Altro risvolto fondamentale di questa fase del conflitto è il sempre più rilevante peso della Cina nello scenario geopolitico mondiale. Forte della riconferma a presidente di Xi Jinping, Pechino rimane il principale ostacolo alla supremazia economico-militare degli USA e all’egemonia culturale dell’Occidente. Da un lato, la Cina ha tutto l’interesse a stringere un’alleanza strategica con Mosca, specie sul piano energetico e commerciale, dall’altro non può permettersi un partner troppo bellicoso e destabilizzatore. Il recente incontro al G20 di Bali tra Xi e Biden ha sugellato la nuova linea distensiva, nella misura in cui entrambe le parti sono motivate a scongiurare un pericolo nucleare, mentre Washington chiude un occhio sull’espansionismo di Pechino nei confronti di Taiwan, purché si manifesti in maniera pacifica.

Sono sempre di più, inoltre, i Paesi in via di sviluppo e i BRICS che disconoscono il primato statunitense nel mondo e guardano con più interesse all’Asia. Uno tra tutti, il Brasile, dove il ritorno al potere di Ignacio Lula da Silva si pone in continuità con il predecessore Jair Bolsonaro, quantomeno su un punto: l’affrancamento dalla dipendenza americana. Non è da trascurare nemmeno la rinnovata partnership sino-tedesca, suggellata dal recente incontro tra Xi e il cancelliere Olaf Scholz: la Germania è il Paese europeo economicamente più potente ma anche il più penalizzato dalla guerra e dall’isolamento della Russia, specie dopo il sabotaggio del gasdotto North Stream 2. Con l’acquisizione cinese del porto di Amburgo, il governo tedesco punta ad avere un riferimento stabile in Oriente, che non la renda completamente succube di Washington. Al netto della sempre possibile degenerazione della guerra russo-ucraina e di altri conflitti più o meno latenti in tutto il pianeta, la tendenza generale sembra essere la transizione verso un mondo multipolare, con la supremazia americana ormai avviata al declino.

Ultimo e più importante punto: se da un lato sono da escludere nuove escalation nel breve termine, è altrettanto vero che la pace è ancora lontana. Lo dimostrano le dichiarazioni della maggior parte dei leader occidentali, che continuano a non minimizzare la responsabilità della Russia nello scatenamento del conflitto. Lo stesso presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha definito l’episodio avvenuto in terra polacca “una conferma della gravità e delle conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina”.

Chi continua a credere, senza se e senza ma, alla possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto è papa Francesco. “Non rassegniamoci, la pace è possibile – ha detto il Santo Padre in un’intervista a La Stampa –. Però bisogna che tutti si impegnino per smilitarizzare i cuori, a cominciare dal proprio, e poi disinnescare, disarmare la violenza. Dobbiamo essere tutti pacifisti. Volere la pace, non solo una tregua che magari serva solo per riarmarsi. La pace vera, che è frutto del dialogo. Non si ottiene con le armi, perché non sconfiggono l’odio e la sete di dominio, che così riemergeranno, magari in altri modi, ma riemergeranno”. La cautela e la speranza vanno dunque a braccetto, nel nome di quel realismo cristiano che, dietro ogni morte, vede sempre una resurrezione.