Il 25 febbraio scorso si è svolta nella sala Paolo VI (Vaticano) l’udienza con il Pontefice intitolata:Formarsi insieme per Evangelizzare. Per la prima volta erano riuniti insieme rettori, docenti, studenti e personale tecnico amministrativo delle diverse Università e Istituzioni Pontificie Romane. Tale iniziativa si inserisce nel cammino sinodale della Chiesa con la volontà di collaborare e fare progetti insieme. In un’ ottica interculturale e di rete interistituzionale si promuove la ricerca, il dialogo, la cultura dell’incontro e della condivisione per incidere sul territorio in modo armonioso e corale. Formarsi insieme significa formare e pensare insieme per potere aiutare il mondo unendo le forze nella ricchezza della diversità.
Papa Francesco durante il suo discorso di sabato ha sottolineato l’importanza dell’intelligenza delle mani e del fare coro, vi invito a tal proposito a leggere qui sotto alcune delle sue parole eloquenti:
«Siete donne e uomini dedicati allo studio, alcuni per qualche anno, altri per tutta la vita, con varie provenienze e competenze. Per questo voglio dirvi prima di tutto, con le parole del santo vescovo e martire Ignazio di Antiochia: impegnatevi a “fare coro”. Fare coro! L’università, infatti, è la scuola dell’accordo e della consonanza tra voci e strumenti diversi. Non è la scuola dell’uniformità: no, è l’accordo e la consonanza tra voci e strumenti diversi. San John Henry Newman la descrive come il luogo dove diversi saperi e prospettive si esprimono in sintonia, si completano, si correggono, si bilanciano l’un l’altro. Questa armonia chiede di essere coltivata prima di tutto in voi stessi, tra le tre intelligenze che vibrano nell’anima umana: quella della mente, quella del cuore e quella delle mani, ciascuna con il suo timbro e carattere, e tutte necessarie. Linguaggio della mente che sia unito a quello del cuore e a quello delle mani: quello che si pensa, quello che si sente, quello che si fa. In particolare vorrei soffermarmi un momento con voi sull’ultima delle tre: l’intelligenza delle mani. È la più sensoriale, ma non per questo la meno importante. Si può dire, infatti, che essa sia come la scintilla del pensiero e della conoscenza e, per certi versi, anche il loro risultato più maturo. La prima volta che sono uscito in Piazza, da Papa, mi sono avvicinato ad un gruppo di ragazzi ciechi. E uno mi disse: “Posso vederla? Posso guardarla?” Io non capii. Sì — gli ho detto. E con le mani cercava… mi ha visto toccandomi con le mani. Questo mi ha colpito tanto e mi ha fatto capire l’intelligenza delle mani. Aristotele, ad esempio, diceva che le mani sono “come l’anima”, per il potere che hanno, grazie alla loro sensibilità, di distinguere e di esplorare. E Kant non esitava a definirle come «il cervello esterno dell’uomo».
La lingua italiana, come altre lingue neo-latine, sottolinea lo stesso concetto, facendo del verbo “prendere”, che indica un’azione tipicamente manuale, la radice di parole come “comprendere”, “apprendere” e ,“sorprendere”, che indicano invece atti del pensiero. Mentre le mani prendono, la mente comprende, apprende e si lascia sorprendere. E però, perché questo avvenga, ci vogliono mani sensibili. La mente non potrà comprendere nulla se le mani sono chiuse dall’avarizia, o se sono “mani bucate”, che sprecano tempo, salute e talenti, o ancora se si rifiutano di dare la pace, di salutare e di stringere le mani. Non potrà apprendere nulla se le mani hanno dita puntate senza misericordia contro i fratelli e le sorelle che sbagliano. E non potrà sorprendersi di nulla, se le stesse mani non sanno congiungersi e levarsi al Cielo in preghiera. Guardiamo le mani di Cristo. Con esse Egli prende il pane e, recitata la benedizione, lo spezza e lo dà ai discepoli, dicendo: «Questo è il mio corpo». Poi prende il calice e, dopo aver reso grazie, lo offre loro dicendo: «Questo è il mio sangue» (cfr. Mc 14, 23-24). Cosa vediamo? Vediamo mani che, mentre prendono, ringraziano. Le mani di Gesù toccano il pane e il vino, il corpo e il sangue, la vita stessa, e rendono grazie, prendono e ringraziano perché sentono che tutto è dono del Padre. Non a caso gli Evangelisti, per indicare la loro azione, usano il verbo lambano, che indica al tempo stesso il “prendere” e il “ricevere”. Facciamo dunque armonia in noi stessi, rendendo anche le nostre mani “eucaristiche” come quelle del Cristo e accompagnando il tatto, in ogni contatto e presa, con un’umile, gioiosa e sincera gratitudine. Nella custodia dell’armonia interiore, vi invito poi a “fare coro” anche tra le diverse componenti delle vostre comunità, e tra le varie istituzioni che rappresentate (…) la speranza è una realtà corale! Guardate, alle mie spalle, la scultura del Cristo Risorto, opera dell’artista Pericle Fazzini, voluta da San Paolo vi perché dominasse questo palco e quest’aula. Osservate le mani del Cristo: sono come quelle di un maestro di coro. La destra è aperta: dirige tutto l’insieme dei coristi e, tendendo verso l’alto, sembra chiedere un crescendo nell’esecuzione. La sinistra, invece, pur rivolta a tutto il coro, ha l’indice puntato, come per convocare un solista, dicendo: “Tocca a te!”. Le mani del Cristo coinvolgono al tempo stesso il coro e il solista, perché nel concerto il ruolo dell’uno si accordi con quello dell’altro, in una costruttiva complementarità. Per favore: mai solisti senza coro. “Tocca a tutti voi!” e al tempo stesso: “Tocca a te!”. Questo dicono le mani del Risorto: a tutti voi e a te! Mentre ne contempliamo i gesti, rinnoviamo allora il nostro impegno a “fare coro”, nella sintonia e nell’accordo delle voci, docili all’azione viva dello Spirito. È quello che chiedo nella preghiera per ciascuno di voi e per tutti. Di cuore vi benedico, e vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me».