Nel 2014 aveva scritto un post su facebook sull’omosessualità, il suo datore di lavoro ha deciso di licenziarla per questo. Un tribunale si è schierato dalla parte del suo datore di lavoro e adesso la donna si ritorva a dover fare appello.
Si chiama Seyi Omooba, 26 anni, ha perso il lavoro in una produzione di “The Color Purple” al Leicester Curve Theatre per aver scritto su Facebook il suo pensiero cioè che non riteneva l’omosessualità una cosa giusta.
A febbraio, il tribunale del lavoro ha dichiarato che il teatro in cui lavorava, aveva agito legalmente licenziandola.
È stato “l’effetto della pubblicità negativa del retweet [del post del 2014], senza modifiche o spiegazioni, sulla coesione del cast, l’accoglienza del pubblico, la reputazione dei produttori e la buona reputazione e il successo commerciale della produzione , che erano i motivi per cui è stata licenziata “, diceva la sentenza scritta.
Ma non solo questo, il tribunale ha assegnato a Miss Omooba spese superiori a £ 350.000 da pagare al teatro e all’agente.
Andrea Williams, amministratore delegato del Christian Legal Center, che ha difeso la signorina Omooba, ha detto che i costi sono stati “inauditi”.
“Un tribunale del lavoro è pensato per essere un forum gratuito. D’altra parte la richiesta e la concessione di una condanna ai costi di 350.000 sterline è senza precedenti e deliberatamente punitiva. È progettata per spaventare e allontanare gli altri dal cercare giustizia”, ha dichiarato.
“I costi che chiedono sono 15 volte superiori ai normali costi per difendere una causa in tribunale, il che è piuttosto difficile da far quadrare con la loro premessa che il suo caso era così disperato che era irragionevole per lei portarlo avanti”.
Anche la signorina Omooba farà appello a entrambe le decisioni.
La signora Williams ha aggiunto: “Nonostante il modo in cui gli avvocati del teatro e dell’agenzia hanno cercato di girare questo caso, è innegabile che l’affermazione di Seyi solleva questioni difficili e importanti sull’intolleranza delle credenze cristiane sulla sessualità umana nella società odierna”.
Gli avvocati del teatro e dell’agenzia insinuano falsamente una campagna vessatoria di Christian Concern quando tutto ciò che abbiamo cercato di fare è servire Seyi e la verità.
“Il Tribunale si è effettivamente unito alla campagna per ‘cancellare’ Seyi e le sue convinzioni cristiane. Lei e noi non siamo intimiditi e ora abbiamo presentato ricorso”.
Questo fatto è successo all’estero ma non mi meraviglierei se con l’approvazione della legge Zan, un’esperienza simile si ripetesse in Italia. D’altronde la libertà di espressione sta quasi per essere cancellata per certe tematiche che andrebbero contro qualche potente istituzione e ideologia di pensiero.