Bontà o buonismo?

Bontà o buonismo?

Basta col buonismo!”. È una delle lamentele ricorrenti nelle conversazioni di oggi, tanto nelle piazze virtuali quanto in quelle reali. Cosa vogliono dire, tuttavia, i termini “buonismo” e “buonista”, che tanta fortuna lessicale hanno avuto negli ultimi vent’anni? Queste espressioni, speculari e ricche di analogie con il politically correct, tanto caro agli anglofili, sono profondamente legate alla cultura di massa contemporanea e, in parte, anche a un modo distorto di interpretare la fede e la morale cristiana e, in particolare, cattolica.
Va premessa una considerazione: nel linguaggio comune, “buonisti” sono sempre gli altri e l’epiteto viene rivolto in senso spregiativo, come sinonimo di “debole”, “arrendevole”, “vile”, incline ai compromessi, specie con l’ideologia permissiva del nostro tempo. C’è anche da dire, tuttavia, che “buonisti”, nella realtà dei fatti, lo siamo un po’ tutti, in quanto tale mentalità è così contagiosa e capillarmente diffusa che – chi più chi meno – tutti ne siamo intrisi.
Inoltre, c’è una sottile differenza tra il semplice permissivismo, che nasce e cresce in famiglia e a scuola (spesso ramificandosi nelle parrocchie) e che attiene essenzialmente alla sfera del privato, e il buonismo come ideologia sottile e strisciante, di cui la maggior parte sono vittime inconsapevoli. Il buonista è solitamente una persona convinta di portare avanti grandi ideali umanitari e di farsi paladino della pace universale. Proprio per questo, il buonista tende costantemente a confrontarsi con chi non la pensa come lui, non però per cercare la Verità ma per tessere una ragnatela di compromessi e accomodamenti per il proprio quieto vivere o – nel caso dei buonisti-opportunisti (insidiosa sottospecie…) – per posizioni di prestigio. Ciò avviene, anche perché il buonista, fondamentalmente, non è “nato con un cuor di leone” e, al tempo stesso, è assillato dai sensi di colpa nei confronti degli altri e dal timore di non essere apprezzato o accettato.
Esempi di buonismo attuale? Scuola, immigrazione, carceri. Senza entrare nel merito dei casi specifici (ognuno di noi ne avrà in mente qualcuno), vale la pena, tuttavia, mettere in luce due aspetti peculiari.
Il buonismo è figlio di una società senza padri, in cui, al contrario, la figura materna è preponderante, concessiva e, al tempo stesso, iperprotettiva. L’archetipo del giovane cresciuto senza autorità paterna, da un lato senza regole e senza disciplina, dall’altro senza stimoli a scoprire il mondo, ad affrontare le difficoltà e a sconfiggerle, lottando per i propri scopi di vita, è ormai diventata lo specchio di un modello di società, popolato da adulti mai cresciuti, privi di ideali alti e di capacità di sacrificio, la cui unica aspirazione è preservare le poche e precarie sicurezze ottenute o, più spesso, ereditate.