La libertà d’opinione è in pericolo?
A molti è noto l’apologo della “rana bollita”. Se poni una rana in un pentolone bollente, l’animaletto schizzerà immediatamente fuori, terrorizzato dall’altissima temperatura dell’acqua. Se invece la immergi in acqua fresca o tiepida e poni la fiamma al minimo, il liquido inizierà a scaldarsi molto lentamente e per la rana quel calore risulterà inizialmente molto piacevole. Poi, a poco a poco, l’acqua inizierà a bollire e, con essa, anche il povero anfibio inconsapevole del tranello che gli è stato teso. Una trappola molto simile è quella che i poteri forti stanno tendendo alla libertà d’opinione. Ovviamente gli uomini di potere non cadono mai nell’errore di scoprire le loro carte, cosicché lo svuotamento di questo nostro diritto fondamentale sta avvenendo per gradi e sempre dietro il paravento di una buona causa.
È il caso della recente controversia relativa alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti e vittima di insulti antisemiti in rete. La commissione parlamentare straordinaria istituita in suo onore e approvata in Senato con 151 voti favorevoli e 98 astenuti, si prefigge “il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”, attraverso il continuo monitoraggio di tutti gli episodi di hate speech e di hate crimes “nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche”. Tra gli obiettivi della commissione vi sarà quello di “formulare pareri su disegni di legge e affari deferiti ad altre Commissioni” ma soprattutto quello di “segnalare agli organi di stampa ed ai gestori dei siti internet” i possibili casi di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio “richiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti ovvero la loro deindicizzazione dai motori di ricerca”. L’ambiguità e la pericolosità di una tale formulazione sono più che palesi. Sul razzismo e sull’antisemitismo, l’accordo è unanime e nessuno di noi potrà astenersi dal condannarli. Idem per le discriminazioni in base all’etnia, alla fede religiosa (purché includa anche il cristianesimo, in assoluto la religione più dissacrata e vilipesa sul web) e sulle condizioni fisiche e psichiche. La perplessità nasce dalle ormai abusate diciture di “orientamento sessuale” e “identità di genere”: si riferisce solamente alla violenza e discriminazione contro persone lgbt o andrà interpretata in modo estensivo contro chiunque oserà riaffermare il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre? Anche il concetto di “odio” è facilmente equivocabile e rischia di essere scambiato per una pura e semplice avversione alle idee di una persona e non alla persona stessa. Va inoltre ricordato che l’odio è parte integrante della comunicazione di oggi, a mezzo stampa, televisivo, web e social e viene tristemente veicolato da un gran numero di opinion leader: per quanto moralmente riprovevole, l’odio, finché rimane confinato nei sentimenti e nelle intenzioni, non può essere di per sé oggetto di sanzione penale. Se così fosse, un impressionante numero di personaggi televisivi dovrebbero essere dietro le sbarre…
È dunque evidente che Liliana Segre (alla quale la nostra testata, da sempre sensibile al tema dell’amicizia e del dialogo ebreo-cristiano, rivolge tutta la sua solidarietà e vicinanza) è stata strumentalizzata dagli stessi parlamentari che dicono di volerla difendere. Gli stessi numeri relativi alle aggressioni antisemite contro la novantenne senatrice a vita sono stati evidentemente manipolati: a rivelarlo non è un oscuro blog di estrema destra ma il webmagazine global-progressista Open, diretto da Enrico Mentana. Se da un lato Repubblica aveva riferito di 200 insulti online al giorno contro la Segre, Open, attingendo ai dati dell’Osservatorio antisemitismo del CDEC, parla di 197 episodi di antisemitismo in generale durante tutto il 2018, nessuno dei quali concernente la violenza fisica o l’accertata discriminazione. Senza per questo voler prendere sottogamba le espressioni d’odio antisemita, peraltro in aumento, abbiamo quindi la conferma dell’uso strumentale del dramma personale della senatrice ebrea.