Galileo scrive soddisfatto al segretario di Cosimo II, Curzio Picchena, il 6 marzo, che la denuncia del Caccini
« non ha trovato corrispondenza in S.ta Chiesa […] onde solo restano proibiti quei libri li quali ex professo hanno voluto sostenere che ella non discordi dalla Scrittura […] All’opera del Copernico stesso si leveranno 10 versi della prefazione a Paol terzo, dove accenna non gli parer che tal dottrina repugni alle Scritture; e, per quanto intendo, si potrebbe levare una parola in qua e in là, dove egli chiama, 2 o 3 volte, la terra sidus […] Io, come dalla natura stessa del negozio si scorge, non ci ho interesse alcuno, né punto mi ci sarei occupato, se, come ho detto, i miei nimici non mi ci havessero intromesso […] un santo non l’haverebbe trattato né con maggior reverenza né con maggior zelo verso S.ta Chiesa: il che forse non hanno fatto i miei nimici, che non hanno perdonato a machine, a calunnie et ad ogni diabolica suggestione […] conoscerà V. S. con quanta flemma e temperanza io mi sia governato. » |
Solo nel 1822, la Chiesa riconobbe l’ingiusta condanna verso Galileo Galilei, 180 anni dopo la sua morte, con la concessione dell’imprimatur all’opera “Elementi di ottica e astronomia” del canonico Settele, che dava come teoria consolidata e del tutto compatibile con la fede cristiana il sistema copernicano.
Papa Giovanni Paolo II auspicò che l’esame del caso Galilei venisse approfondito da «teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, […] nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano»
La vicenda di Galileo Galilei ci dimostra che l’obbedienza e la sottomissione, alla fine ripagano sempre; questo esempio dovrebbe essere attuato da tutti coloro che oggi nonostante i provvedimenti presi dalla Santa Sede, reagiscono dichiarando guerra al Papa e a tutta l’istituzione religiosa.
Rita Sberna