Mondiali 2018: storie di calcio e di fede

Mondiali 2018: storie di calcio e di fede

Tenace è anche la fede di alcuni ct. Con la mano destra il mister croato Zlatko Dalic dà indicazioni ai suoi giocatori, con la sinistra tiene stretto in tasca il rosario. “Quando mi sento un po’ agitato, metto la mano in tasca, stringo il rosario, e tutto diventa più semplice”, ha dichiarato in un’intervista al settimanale dell’arcidiocesi di Zagabria. 52 anni il prossimo ottobre, di origine bosniaca, Dalic ha vissuto il dramma della guerra nei Balcani, nella quale ha combattuto. Ministrante da bambino a Livno, sua città natale, il futuro ct ha maturato quella fede robusta che spesso attecchisce nei paesi a forte persecuzione antireligiosa e anticlericale come fu, per l’appunto, la Jugoslavia di Tito.

“Solo con la fede l’uomo può tornare in modo più qualitativo sulla strada giusta – ha aggiunto Dalic nella medesima intervista –. È necessario portare la croce nel modo più dignitoso possibile, portarla con fortezza e forza. Nelle situazioni che sembrano senza uscita, si trova una soluzione, tuttavia è necessario credere”. I risultati per la nazionale croata sono sotto gli occhi di tutti e oltre le più rosee aspettative: ha sconfitto squadre assai quotate come l’Argentina e l’Inghilterra, mentre tra ottavi e semifinale, ha sempre rimontato un risultato inizialmente sfavorevole. Fino alla realizzazione di un sogno: la finale di domani a Mosca contro la Francia. Sorge spontaneo pensare che tanta fiducia, tanta grinta, tanta tenacia siano state trasmesse in particolare da questo allenatore che prega e si affida alla Madonna.

L’Uruguay è uscito a testa alta ai quarti di finale con la Francia, probabilmente penalizzato dall’infortunio di Edinson Cavani. Nelle prime quattro partite, tuttavia, la nazionale sudamericana ha totalizzato quattro vittorie e molto del merito va ad un allenatore carismatico come Oscar Washington Tabarez, uno dei veterani dei Mondiali. A 71 anni, Tabarez sta combattendo contro un male che non lascia scampo: la sindrome di Guillain-Barré, una neuropatia cronica degenerativa. La malattia, però, non gli ha impedito di continuare a sedere sulla panchina uruguaiana, da cui qualche volta l’abbiamo visto alzarsi in piedi ed esultare, sorretto dalla sua stampella, andando anche ad abbracciare i suoi marcatori. Anche Tabarez è molto credente e nelle interviste parla con una certa disinvoltura di Dio e di preghiera. “Mi chiedete come sto? – ha dichiarato circa un anno fa –. Più vicino alla fine che all’inizio. Come del resto tutti quelli della mia età: stavo molto peggio un anno fa, e poco prima. Ho dei ragazzi intelligenti, un gruppo di lavoro fantastico: se in campo non posso più fare quello che facevo prima, lo capiscono e mi sento rispettato. Le sfide, le grandi sfide, mantengono vive le persone”.

Non è cattolico ma il coraggio con cui manifesta la sua fede è encomiabile. Il 26enne fuoriclasse brasiliano Neymar, nel giugno 2015, indossò una fascetta con la scritta “100% Jesus”, durante i festeggiamenti per la conquista della Champions League da parte del Barcellona. La cosa non piacque alla Fifa, che, alla fine di quell’anno, alla consegna del Pallone d’Oro, nel filmato-retrospettiva, fece oscurare quella scritta, con la motivazione di non voler ferire la sensibilità di fedeli di altri culti. Neymar, che appartiene alla chiesa evangelica, non si fece intimidire e l’estate successiva, dopo la conquista della medaglia d’oro da parte del Brasile alle Olimpiadi di Rio 2016, esibì nuovamente quella stessa fascia (foto), twittando poi la sua immagine trionfante con le dita rivolte verso il cielo, accompagnata dalla scritta “toda honra e toda glória” (ogni onore e ogni gloria).

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Per approfondimenti:
http://www.lanuovabq.it/it/lukaku-il-campione-belga-in-missione-dalleta-di-6-anni

http://www.lanuovabq.it/it/dalic-il-ct-croato-che-stringe-il-rosario-in-campo