Sanremo, Allevi e il senso della vita

Giovanni Allevi a Sanremo 2024
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Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Anche un orologio rotto segna sempre l’orario esatto almeno una volta al giorno. La 74° edizione del Festival della Canzone Italiana evoca questi e altri detti popolari, suscitando pensieri contrastanti. Già negli anni passati, in più di un’occasione (leggi qui, qui e qui) avevamo espresso con chiarezza le nostre perplessità su una manifestazione che, da troppo tempo, non porta più sul palco veri talenti ma è degenerata a indigesto concentrato di sguaiate provocazioni strappa-auditel e predicozzi (verbali o simbolici) all’insegna del politicamente corretto.

Accade, però, che, anche in questa patetica e decadente edizione, nel fango qualche fiore è spuntato. Sanremo 2024 non è stato soltanto le sottane di Marco Mengoni, il riluttante ballo del Qua Qua dell’imbronciato John Travolta o i compiacimenti anti-colonialisti e vetero-femministi di Teresa Mannino. Come per ogni macchina programmata alla perfezione per massimizzare i suoi obiettivi, è arrivato il classico granello ad inceppare ingranaggi oleati e apparentemente infallibili. Il guastafeste e sovvertitore di questa “molto triste buffonata” (cit. Pirandello) si chiama Giovanni Allevi.

Non è la prima volta che sul palco dell’Ariston è andata in scena la fragilità. Capitò nel 2016 con Ezio Bosso (1971-2020) e nel 2020 con Paolo Palumbo. Martedì scorso, però, è accaduto qualcosa di davvero dirompente, vuoi per la notevole fama di Allevi, vuoi per l’apprensione che si era creata intorno alla sua malattia, vuoi per la grande consolazione regalata ai fans da parte del musicista marchigiano che tornava a calcare un palcoscenico, dopo due anni per lui drammatici. Già soltanto questo avrebbe reso quella performance degna di una standing ovation lunga e commossa. Allevi, però, ci ha messo il classico carico da novanta e, al suo talento artistico, ha voluto aggiungere la propria testimonianza di vita.

In mezzo a tante maschere, con Allevi sul palco dell’Ariston è salito un volto. Con malattie come il mieloma multiplo non si può bluffare, si piangono lacrime amare, che però detergono tanta inutile sporcizia, svelando la verità e la bellezza della vita. Allevi non ha parlato, né di Dio, né di fede ma c’è molta più spiritualità nel suo discorso al Festival che in tante omelie piene di frasi fatte. Dire una frase come “Non potendo più contare sul mio corpo, suono con l’anima” è qualcosa che non può spiegarsi secondo logiche puramente umane.

“Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni”, ha detto Allevi, aggiungendo: “Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo”. Si può chiamarla forza d’animo, si può chiamarla fede: di certo c’è che se un essere umano riesce a sorridere anche in mezzo a una sofferenza così atroce è perché è consapevole di non essere solo. Nella vita, possiamo avanzare senza paura, solo se abbiamo qualcuno alle spalle che ci difende e qualcuno davanti a cui allungare gioiosamente le braccia.

Se Giovanni Allevi sta resistendo ad una malattia inguaribile, è sicuramente grazie a un amore che lo ha mosso: quello per i suoi familiari, quello per la musica, quello per il suo pubblico. La sua identificazione con il messaggio “assolutamente dirompente” (sono parole sue) del cristianesimo, tuttavia, non l’ha mai negata. Non siamo fatti per stare soli, in tal caso non riusciremmo più a vivere, potremmo solo sopravvivere. Soltanto l’amore può spingerci verso cose più grandi di noi e ad affrontare imprese che mai immagineremmo di intraprendere. E se è vero amore, in esso c’è una scintilla di infinito: è quello che può aver provato chiunque ha assistito alla testimonianza di Allevi a Sanremo. Un raro momento in cui il cuore di un artista ha saputo davvero parlare al cuore di chiunque, nessuno escluso.