Politica, droga, satanismo: ma non era il Festival dei buoni sentimenti?

Fino a pochi anni fa, tutto si poteva dire del Festival di Sanremo, tranne che fosse un evento politicizzato. Al contrario, in particolare negli anni ’70, era fortissima la dicotomia tra la “canzone impegnata” dei cantautori, come Dalla, De André o Guccini, e le canzonette dal facile passaggio radiofonico, privilegiate, per l’appunto, sul palcoscenico sanremese. Oggi, questi ‘rapporti di forza’ sembrano essersi rovesciati e gli artisti di maggiore spessore e talento sembrano avere un approccio per lo più intimistico. Si pensi alle pregevoli composizioni dei Negramaro, dei Modà, di Simone Cristicchi (soltanto quinto ma acclamatissimo all’Ariston una settimana fa). Anche i cantautori un tempo impegnati, spesso politicamente schierati in modo esplicito, da De Gregori a Jovanotti, sembrano soffermarsi soprattutto sulla sfera dell’amore e degli affetti.

Una tendenza opposta è proprio quella di Sanremo che, ormai da qualche anno a questa parte, si presta a messaggi politici, quando non apertamente faziosi e ideologici. Si pensi ai lustrini arcobaleno esibiti da alcuni cantanti durante l’edizione 2016 in appoggio al ddl Cirinnà sulle unioni civili, approvato dal Parlamento nelle settimane successive. Venendo all’edizione dello scorso anno, con Non mi avete fatto niente di Ermal Meta e Fabrizio Moro, abbiamo assistito al trionfo di una canzone “impegnata”, cosa impensabile negli anni in cui questo genere musicale andava per la maggiore, mentre Sanremo rimaneva il “refugium peccatorum” degli interpreti di canzonette.

Anche quest’anno, all’interno e al di fuori della competizione, si è prestato a messaggi politici: alla vigilia con le dichiarazioni di Claudio Baglioni, apertamente critiche sulle politiche migratorie del governo italiano; in conclusione, con la chiacchierata vittoria dell’artista italo-egiziano Mahmood, premiato dalla giura di qualità (ma non dal televoto…) e celebrato da molti progressisti come il simbolo di una nuova Italia multietnica.

Fin qui gli aspetti semplicemente ‘discutibili’ del Festival. Un episodio che, però, rischia di avere un vero effetto boomerang sulla credibilità di Sanremo è stata l’esibizione ‘esoterica’ di Virginia Raffaele: in un’ironica interpretazione di Mamma, il superclassico portato al successo negli anni ’40 da Beniamino Gigli, simultaneamente a un finto guasto del grammofono vecchio stile posizionato sul palco dell’Ariston, la co-conduttrice ha pronunciato cinque volte, con voce tecnicamente alterata, la parola “satana”. Una trovata che lascerebbe pensare a una parodia di quei dischi (particolarmente popolari negli anni ’60-’70, si pensi ad alcuni album dei Beatles o dei Led Zeppelin) che, suonati al contrario, producevano misteriosi messaggi esoterici. Anche se così fosse stato, è davvero Sanremo, manifestazione tradizionalmente indirizzata a un pubblico assai vasto – famiglie e bambini inclusi – il contesto adatto ad una gag che si presenta a facili fraintendimenti? Non è un caso che l’episodio abbia suscitato la riprovazione di don Aldo Bonaiuto, noto per le sue attività nella Comunità Papa Giovanni XXIII ma anche come esorcista, secondo il quale la performance della Raffaele ferisce profondamente la sensibilità delle persone realmente vessate dal demonio. In appoggio alle dichiarazioni di Bonaiuto, è giunto anche il vicepremier e Ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha ribadito l’impegno del governo nel combattere le sette sataniche.

A completare il quadro di questa non felicissima edizione sanremese, è arrivata la performance di Achille Lauro. Il rapper romano ha presentato una canzone con chiari riferimenti alla droga: il titolo Rolls Royce richiama il gergo con cui spacciatori e consumatori chiamano l’ecstasy. Inoltre, il testo è pieno di allusioni a varie “morti maledette” che hanno funestato la storia del rock, da Jimi Hendrix a Amy Winehouse. Anche qui: fatta salva la libertà di espressione, Sanremo è davvero il palcoscenico adatto per messaggi del genere? È vero, in passato hanno avuto vasta popolarità canzoni dai titoli e dai testi inequivocabili, come Heroin di Lou Reed o Sister Morphine dei Rolling Stones. Anche Vita spericolata del nostro Vasco Rossi, non era certo un brano da educande. Erano senz’altro messaggi controversi ma supportati da una qualità artistica inequivocabilmente superiore rispetto alle proposte dell’ultimo Sanremo. Eppure, ci sembra tutt’altro che esaltante che, a distanza di cinquant’anni, ancora si cerchi di cavalcare l’ormai trito e ritrito binomio musica-droga. Lo stesso Claudio Baglioni, in mezzo secolo di carriera discografica, ha sempre trasmesso messaggi positivi, proponendo canzoni d’amore e temi introspettivi con linguaggi mai banali: cosa può averlo spinto, nella veste di direttore artistico del Festival, a incoraggiare brani e artisti di tutt’altro segno?

C’è poi da aggiungere un’ulteriore osservazione: i succitati Lou Reed, Rolling Stones e Jimi Hendrix scrivevano canzoni in un’epoca in cui essere trasgressivi poteva conferire un minimo di originalità e in cui i danni della droga ancora non si erano ancora manifestati in tutto il loro potenziale distruttivo o, quantomeno, non erano ancora così noti all’opinione pubblica. Oggi, al contrario, che di eroina, di cocaina o di ecstasy si possa facilmente morire, tutti lo sappiamo. Ciononostante, il consumo di stupefacenti, in particolare delle sostanze cosiddette “sintetiche” negli ultimi anni è letteralmente dilagato, con uno spaventoso abbassamento dell’età media dei primi consumi. Emblematiche sono, a tal proposito, le parole dello psichiatra Paolo Crepet, che ha recentemente confidato di avere in cura cocainomani di soli 14 anni, definendo anche “moralmente eccepibile” qualunque canzone, eseguita in qualunque contesto, che inneggi all’uso delle droghe.

Di fronte a chi continua a minimizzare di fronte a tali fenomeni, magari anche insistendo sulla fallimentare soluzione dell’antiproibizionismo, ci limitiamo a replicare che sarà “la bellezza che salverà il mondo”, non gli sballi che tolgono la voglia di vivere e la meraviglia per ogni piccolo fatto quotidiano. Meno stupefacenti, più stupore… grazie!