Violenza sulle donne: la lotta contro i mulini a vento patriarcali

Violenza sulle donne
Photo: Domenico Salvati (Flickr)

I commenti sui social (e non solo) sull’uccisione di Giulia Cecchettin si sono manifestati in quantità diluviale e la stragrande maggioranza di essi si sono caratterizzati per la loro pochezza e banalità. Uno, però, l’ho trovato assai acuto, oltre che altamente condivisibile; una vera perla in uno sterminato oceano di spazzatura. In sintesi, il post diceva ciò che segue: se si guardano i volti di Filippo Turetta, presunto assassino della sua ex fidanzata, e di almeno altri tre accusati dei più efferati “femminicidi” degli ultimi anni, colpisce la poca virilità di quegli sguardi e il piglio da perdenti. Altro che patriarcato, altro che machismo. Tutti e quattro gli sventurati apparivano perfettamente compatibili con gli stereotipi dei giovani d’oggi, cresciuti nella bambagia, scarsa profondità e pochi interessi, con madri iperprotettive e padri – per usare un eufemismo – evanescenti.

È proprio questo il punto: tutta la discussione montata nell’ultima settimana intorno al delitto Cecchettin, come ennesimo frutto marcio di una cultura patriarcale dura a morire non sta in piedi nemmeno per mezzo minuto. La rabbia delle neo-femministe contro il genere maschile, di cui ogni rappresentante – anche il più virtuoso – dovrebbe chiedere scusa per il solo fatto di esistere, è una lotta contro i mulini a vento. Va da sé, quindi, che è stata conferita una visibilità immeritata a opinion leader e influencer che esprimono un puro punto di vista “di pancia” sul recente spaventoso fatto di cronaca, assolutamente privo di logica e coerenza.

Non che le istituzioni se la cavino molto meglio. La violenza sulle donne non si combatte certo con gli atti simbolici come il tipico minuto di silenzio, né ci si può illudere di tamponare l’emergenza delegando il fardello alla scuola con appositi corsi, come sta disponendo il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Finanche l’inasprimento delle pene compreso nel pacchetto di nuove misure anti-violenza di genere, recentemente approvato all’unanimità dalla Camera dei Deputati rischia di sortire un’efficacia davvero minima. Ci si domanda: quanti magistrati avranno davvero fino in fondo il coraggio di applicare severamente la normativa vigente, senza dare inutili sconti di pena agli uomini violenti? Per non parlare di misure facilmente aggirabili come il braccialetto elettronico o il divieto di avvicinamento all’abitazione della vittima di violenze o stalking. Da notare, poi, che proprio la magistratura, che in larghissima parte si identifica con una cultura progressista e propensa a intercettare lo spirito dei tempi, è la prima ad emettere sentenze “garantiste” che non fanno certo l’interesse delle donne, né tutelano la loro incolumità.

Avevamo riflettuto nei mesi scorsi intorno ai danni – largamente sottovalutati – della pornografia sulle menti dei giovani maschi. In questa sede, vale la pena riflettere su ulteriori cortocircuiti socio-culturali dei nostri tempi e, a riguardo, fare nomi e cognomi. Perché, ad esempio, la cantante Elodie – che pure ci aveva messo la faccia, chiedendo un minuto di silenzio per Giulia – ha voluto, poco tempo fa, registrare quello strano duetto con Sfera Ebbasta, il cui testo recita così: “Sei soltanto mia, mai più di nessuno, odio chi altro ti ha avuta o fatta sentire al sicuro, per te vado in galera e se domani finisce è un problema”? Un interrogativo simile si solleva per un artista-simbolo del nostro tempo come Fedez che, poco prima di diventare un paladino del politicamente corretto, cantava i seguenti versi: “Mangio queste tipe come M&M’s. Museruola e collare. Lei la tratto come un cane, vuole che le faccio male”. La vicenda più assurda e inquietante è però quella del trapper romano Gallagher, finito ai domiciliari nelle settimane scorse, per violenze contro l’ex compagna, da lui malmenata persino quando era incinta.

È noto quanto la musica trap sia popolare tra i giovani. È altrettanto chiaro che i testi poco edificanti che si ascoltano in questo genere musicale siano più la conseguenza che la causa di un male di vivere diffuso. Nondimeno, ci si domanda perché questi artisti, in fin dei conti, siano così coccolati da un sistema che, di fronte alle loro intemperanze, non vada oltre il semplice “buffetto” simbolico. È ovvio che questa subcultura metropolitana non è la causa di tutti i mali di oggi, né può spiegare in modo semplice un problema complesso. Rimane il fatto che risulta quantomeno arduo considerare la trap un’espressione di patriarcato. Molto più utile sarebbe iniziare a ragionare seriamente sui reali problemi di oggi, senza girare intorno ai fantasmi delle categorie del passato. Andrebbe, piuttosto, superato il pregiudizio, secondo il quale tutto ciò che è “nuovo” debba essere necessariamente positivo ed encomiabile. Ma soprattutto bisognerebbe tutti aprirsi all’idea che può esistere un modo di vivere libero dagli stereotipi della sub-cultura di massa e che forse quel modo di vivere può essere più sano e felice di quanto si creda.