Ovvio che non possono essere derubricati a semplici incidenti. Quello verificatosi lo scorso 16 luglio alla cattedrale di Nantes è soltanto l’ultimo di una lunga serie di incendi capitati in almeno 21 chiese e altri luoghi di culto cattolici francesi negli ultimi due anni. Di questi 21 incendi, 15 sono stati riconosciuti come dolosi, mentre, soltanto nel 2019, gli atti vandalici anti-cristiani sono stati ben 1052, mentre 687 sono stati gli atti contro luoghi di culto ebraici e 154 gli atti islamofobi. I drammatici fatti di Nantes arrivano a un anno e tre mesi dall’incendio di Notre Dame a Parigi, tuttora classificato come incidente.
Le aggressioni dolose alle chiese francesi mostrano una volta di più quanto la Chiesa tutta sia sotto attacco. La persecuzione dei cristiani – lo abbiamo sottolineato più volte [leggi qui e qui] – non è più il ricordo di un lontanissimo passato fatto di catacombe e martiri dati in pasto ai leoni ma una realtà attuale, preoccupante e in spaventosa crescita. Inoltre, se ancora soltanto pochi anni fa, la nostra preoccupazione era rivolta soprattutto ai cristiani di Africa, Asia e Medio Oriente, oggi abbiamo la certezza che nemmeno l’Europa e l’America sono immuni dalla furia anticristiana.
L’incendio alla cattedrale di Nantes è occorso a pochi giorni di distanza dalla vicenda della parrocchia di Lizzano. In ambo i casi, ci troviamo di fronte a due esempi di Chiesa perseguitata o, come minimo, osteggiata. Quando le persecuzioni iniziano a montare non è in tutto e per tutto un fatto negativo: se la Chiesa “dà fastidio” alle coscienze sporche dei suoi avversari, è segno che non si sta facendo corrompere e non ha smesso di annunciare il Vangelo senza compromessi. Purtroppo non possiamo certo dire che questa radicalità sia il fiore all’occhiello della Chiesa d’oggi. Al contrario, i segnali di resa, di debolezza e di annacquamento del vero messaggio evangelico sono all’ordine del giorno. Tuttavia, il fatto che all’interno della Chiesa resistano elementi di integrità e di fedeltà alla propria missione, in grado di mettere in crisi il potere mondano, è un fattore di speranza ed è il segno di una situazione tutt’altro che compromessa.
Ciononostante, taluni si domandano: la Chiesa non dovrebbe in primo luogo “essere madre” e accogliere tutti, edificando “ponti e non muri”? La risposta è certamente affermativa… ma non nel senso che molti auspicherebbero. È lecito o no dialogare anche con i nostri peggiori avversari? Dovremmo sempre e comunque tendere la mano anche a coloro che bruciano chiese, che distruggono le statue della Madonna e dei santi o che vorrebbero impedire le veglie di preghiera? Prima di rispondere a queste domande, va fatta una premessa tutt’altro che ovvia: è impossibile dialogare con i ‘lontani’ se non abbiamo una Verità da condividere e un’identità forte da mostrare. Tutto questo significa che, se da un lato è giusto lavorare costruttivamente su “ciò che ci unisce”, non si può assolutamente far finta di nulla riguardo a “ciò che ci divide”. In qualsiasi relazione umana autentica, è fondamentale esprimere lealmente il proprio eventuale dissenso alle idee dell’altro. Altrimenti, quella che è una potenziale amicizia rischia di ridursi ad una pura relazione diplomatica, cerimoniosa, ultra-formale e, francamente, un tantino ipocrita. È quindi importante manifestare a chiunque ciò in cui crediamo, quantunque possa mettere a disagio il nostro interlocutore.
Alla luce di quanto detto, non può che suscitare perplessità e amarezza, vedere i parrocchiani di Lizzano sconfessati dal loro stesso vescovo, che, inspiegabilmente, avrebbe visto in quell’iniziativa “un motivo di divisione, e di contrapposizione”. Ci risulta difficile pensare a una veglia di preghiera a difesa della famiglia naturale, della libertà d’espressione e della verità della Chiesa, come un impedimento al dialogo. Il fatto stesso che quella veglia si sia tenuta e sia stata promossa “alla luce del sole” (anche a rischio di contromanifestazioni ostili, come effettivamente è avvenuto), è un primo segnale di dialogo: ti dico apertamente come la penso e quali sono i miei principi, se poi tu rimani in disaccordo, sono disposto a spiegarti il mio punto di vista, senza per questo volerti convincere a tutti i costi. Anche se le intenzioni dei parrocchiani di Lizzano non fossero state ‘dialoganti’, sicuramente non è stato distensivo l’atteggiamento dei contromanifestanti che, con il loro baccano, hanno di fatto impedito lo svolgimento della veglia, né è parsa tollerante la condotta della sindaca, che avrebbe voluto ‘schedare’ i parrocchiani.
Il caso di Lizzano risolleva l’interrogativo precedente circa l’opportunità di insistere a dialogare con chi è ostile. A nostro avviso, la possibile risposta a tale dilemma è: si dialoga soltanto con chi è disposto ad ascoltarti. Chi rifiuta la tua disponibilità o se ne approfitta subdolamente, va tenuto a distanza. Fermo restando che la risposta migliore all’insulto è sempre un dignitoso silenzio, meglio se accompagnato dalla preghiera per chi ti fa del male. Gesù stesso dialoga con tutti e, quando la ferocia dei suoi avversari raggiunge il suo apice, continua a chiamarli in causa, implorando il Padre di perdonarli (cfr Gv 23,34). Gesù dialoga con i pagani (cfr Mt 8,5-13; Lc 7,1-10) e i samaritani (cfr Gv 4,1-54) da cui raccoglie le conversioni più sorprendenti. Dialoga finanche con gli odiosi farisei e persino qui, in qualche caso, riesce a conquistarsi il loro favore (cfr Gv 3,1-21). Quando, però, dall’altra parte coglie soltanto malafede e domande capziose, Gesù tace (cfr Gv 8,7) o dà risposte apparentemente non a tono (cfr Mt 22,15-21). È proprio nel Vangelo, quindi, che troviamo la miglior risposta sul comportamento da adottare tanto con gli ‘ostili’ quanto con i ‘lontani’. Fermo restando che nessun dialogo è fine a se stesso e che l’obiettivo imprescindibile è sempre la trasmissione della Verità luminosa e traboccante d’amore del Vangelo.